L'ARTICOLO DEL MESE

Songwriters di Elizabeth Clarke

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Dal folk di Julia Donaldson al punk rock di Neil Gaiman, passando dai Rock Bottom Remainders, gruppo che vanta un chitarrista ritmico d’eccezione: Stephen King.

DI ELIZABETH CLARKE – Le contaminazioni fra musica e scrittura non sono un fenomeno nuovo; basti pensare che Leonard Cohen, prima di diventare famoso grazie alla sua musica, era uno scrittore di discreto successo e che  non sono pochi gli esempi di cantautori che nel corso della loro carriera hanno approcciato la poesia, da Bob Dylan al nostrano Luciano Ligabue.
Vale anche il processo inverso: Nick Hornby si fece conoscere grazie a un romanzo incentrato sulla sua passione per la musica (Alta fedeltà) e fra i suoi titoli di maggior successo vi è una raccolta di “considerazioni”, intelligenti e piacevolissime, sui meccanismi del pop (31 canzoni).
Vi sono però scrittori disposti a portare oltre la loro passione per il divertimento di colleghi e amici e, diciamocelo, per il privilegio di sentirsi un po’ rock-stars per un mese all’anno. Il caso più noto è senza dubbio quello dei Rock Bottom Remainders: un nome squisitamente libresco e ironico (l’idea suggerita dal ben poco traducibile “rock bottom” è quella di un mucchio di polverosi paperback destinati a languire in eterno sugli scaffali) per una band fondata  nel 1992 da un gruppo di scrittori americani. Fra questi Amy Tan e Scott Turow (alla voce) Dave Barry e Greg Iles (chitarre soliste) Stephen King (chitarra ritmica), Ridley Pearson (basso), Matt Groening (il creatore dei Simpson, al cowbell, apparentemete l’unico strumento che sappia suonare). Avrebbe dovuto essere il progetto di una sera: suonare una manciata di pezzi famosi a una convention dell’American Bookseller Association e collezionare qualche figuraccia a scopo benefico. Senonché i timidi scribacchini improvvisatisi rock star scoprono di trovarsi bene insieme e di avere più fan di quanti pensassero. “Quando suoniamo la gente lancia biancheria intima sul palco”, fu la battuta di Matt Groening durante una delle prime serate “nessuno lo fa durante i miei incontri!”. Consci dei loro limiti, i Remainders si definiscono scherzosamente “hard-listening”, ma hanno continuato a suonare, spesso in compagnia di numerosi “ospiti speciali”, che nel tempo sono arrivati a includere icone (vere) del rock come Bruce Springsteen.
Non solo di scrittori che diventano musicisti o discutono di musica da semplici appassionati; per alcuni di essi musica e narrativa sono due linguaggi artistici che si compenetrano e supportano a vicenda e non è infrequente veder tali autori saltabeccare con disinvoltura da un mondo all’altro. Fra i più famosi esempi in questo senso non possiamo non citare Neil Gaiman. Considerato da molti il legittimo erede di Ray Bradbury, Gaiman ha una lunga storia di “contaminazioni artistiche” fra musica e scrittura, a cominciare dalla fascinazione, subita quando era ancora un adolescente, per le canzoni di Lou Reed, che celebravano la periferia americana e i suoi outsider, gli “strambi” che vivevano ai margini della società. Da lì all’amore per il punk rock il passo è breve e nel 1977 Neil diventa il cantante dei Chaos, incoraggiato dal fatto che non serva essere particolarmente intonati per cantare in una rock band: in fondo, come ha scritto Gaiman stesso in un affettuoso tributo uscito sul Guardian lo scorso anno, Lou non lo era per nulla, e guarda cosa è riuscito a fare. I Chaos avranno vita breve ma le atmosfere del glam e del punk saranno sempre una fonte inesauribile di ispirazione per il Gaiman scrittore: “Quelle canzoni erano storie, che suggerivano molto di più di quanto non sembrasse; mi spingevano a voler scoprire altro, a immaginare, a raccontare io stesso qualcosa di simile.” Cosa che Gaiman farà, non solo scrivendo le proprie storie ma continuando le sue incursioni in ambito musicale: da The Last Temptation, progetto ibrido di fumetto/concept album realizzato insieme ad Alice Cooper nel 1994, alla collaborazione con la moglie musicista Amanda Palmer (ex Dresden Dolls) e Tori Amos, sua amica e ammiratrice della prima ora. Per lei, Gaiman ha anche curato il concept dell’album Strange Little Girls, in cui la cantautrice interpreta un diverso personaggio femminile per ogni canzone. Nell’artwork, tutti questi ritratti di donna (impersonati anche visivamente dalla Amos, in foto che la ritraggono di volta in volta come pin-up, poliziotta, casalinga americana, femme fatale alla Marlene Dietrich) sono accompagnati da una breve quanto evocativa frase, che potrebbe rappresentare l’incipit di un racconto. Un’operazione non dissimile da quella di Chris Van Allsburg per I misteri di Harris Burdick, poi sfociata  in un libro di racconti, Fragile Things (2006). Non è un caso che la stessa onirica stravaganza dei lavori più marcatamente fantastici di Gaiman sembri permeare anche i testi della Amos: due artisti che pur nel loro utilizzare linguaggi diversi finiscono per percorrere strade parallele, influenzandosi a vicenda.
La musica è parte integrante del processo creativo anche nel caso di Julia Donaldson, creatrice del Gruffalò: cresciuta in una famiglia di musicisti (madre cantante e padre violoncellista), la Donaldson comincia a scrivere canzoni al liceo e trova il primo impiego alla BBC quando un suo demo tape viene apprezzato dai produttori di un programma per bambini che le chiedono di scriverne altre. Allo stesso tempo l’autrice continua a esibirsi dal vivo con i suoi pezzi folk destinati al pubblico adulto, ed è solo negli anni ‘90 che decide di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, quando una delle canzoni scritte in origine per quei programmi pomeridiani diventa un libro, “Squash and Squeeze”. Seguiranno decine di titoli (libri del Gruffalò compresi, in Italia pubblicati con grande successo da Emme edizioni) accompagnati dalle relative canzoni, che la Donaldson è propensa a vedere come un naturale, organico completamento delle storie narrate su carta. Oggi l’autrice continua a scrivere e comporre canzoni per bambini insieme al marito Malcom (di recente ha anche realizzato due musical), ma non ha dimenticato i suoi trascorsi folk: in circolazione si trovano ancora due sue raccolte autoprodotte.
Non molto diversa è la storia di Dave Cousins, autore britannico oggi noto per i suoi romanzi per ragazzi (il suo debutto, Quindici giorni senza testa si è aggiudicato il Premio Andersen 2013), che per più di 10 anni ha calcato le scene con i Monorail, gruppo britpop nato attorno alla metà degli anni ‘90. Ma la musica ha sempre avuto un ruolo preminente nei suoi romanzi, tanto che adesso l’autore ha richiamato un altro membro della sua vecchia band, Michael Fewtrell, per comporre le canzoni dei Cyclops Dog, la band fittizia preferita dal protagonista del suo ultimo libro, Aspettando Gonzo (San Paolo, 2014). “Ho pensato che a un certo punto i miei lettori avrebbero cercato di scoprire qualcosa di più sui Cyclops Dogs. Mi sono detto, ‘E se cercassero le loro canzoni su internet? Non sarebbe fantastico se le trovassero davvero?”
Detto e fatto, Dave e Michael compongono“Sunglasses” e Dave stesso, aiutato da famiglia e amici, ne cura il videoclip. Sunglasses è ora un singolo disponibile su tutte le piattaforme digitali, iTunes compreso, i cui proventi andranno all’associazione benefica Bliss. Ma la faccenda non finisce qui: i due ex compagni di malefatte si sono divertiti così tanto durante la realizzazione del singolo che hanno finito per incidere altri nove pezzi. Le “finte” canzoni citate dai protagonisti di “Aspettando Gonzo” sono così diventate un vero soundtrack per il romanzo, disponibile anch’esso in formato digitale. Aspiranti autori, non riuscite a scrivere? Cominciate a suonare.

[da ANDERSEN 314, luglio-agosto 2014 – Scopri il resto del numero qui]

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