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Testa di ferro di Jean-Claude van Rijckeghem – trad. di Olga Amagliani, Camelozampa
Per un romanzo storico che mette alla gogna gli stereotipi del passato ma anche del presente, ponendo in parallelo la violenza di una condizione familiare imposta con l’asprezza della vita militare, quasi preferibile. Per la capacità di rendere tangibile polvere e sudore dei campi di battaglia, le lacrime della delusione, l’esaltazione di un amore che nasce. Per una scrittura fluida, onesta, oltremodo coinvolgente.
La recensione di Martina Russo su Andersen n. 406 (ottobre 2023):
Guerra, amore, morte e passione. Chiamarli ingredienti è riduttivo, sono i grandi specchi che in un – buon – romanzo rispecchiano palpitazioni e emozioni del lettore, trascinandolo in una narrazione altamente coinvolgente. Ecco, questo e molto altro lo troviamo tra le pagine di questo corposo romanzo, che ci trascina in epoca napoleonica, tra Gand, Parigi e Vienna, passando per i campi di battaglia che le campagne dell’Imperatore colmarono di sangue. C’è la volontà della protagonista, Stans, di affrancarsi da una vita imposta – quella della brava figlia prima e dell’ossequiosa moglie poi – frantumando le convenzioni con coraggio e spregiudicatezza; c’è la determinazione ingenua di suo fratello Pier, deciso a riguadagnare la via degli studi, interrotta a causa dell’indigenza familiare. Ma c’è anche la scoperta di sé, del proprio corpo, la fedeltà a un ideale – quello della Rivoluzione – minata però dai risvolti disumani della guerra, che distrugge in un attimo qualsiasi idea di futuro. Eppure, per Stans la guerra è salvezza: arruolatasi al posto di un coetaneo disperato, riesce a fuggire da un marito che detesta per i modi brutali e gli affari illeciti di contrabbando. Il matrimonio è stato un vero e proprio contratto firmato dal padre, che ha visto nei soldi del genero – suo antico compagno di collegio – il modo per evitare la bancarotta. Niente di insolito ai tempi, ma Stans non ci sta e indossati quasi per caso i pantaloni del marito fugge creandosi un destino tutto nuovo, tra addestramento, compagni d’armi, marce infinite, ma anche Parigi, il sorriso di una ballerina e la libertà che si respira nella capitale, anche in tempo di guerra. Seguiamo le sue imprese e a capitoli alternati, scopriamo anche cosa accade a Pier, sulle tracce della sorella dopo che il padre è stato incarcerato per i debiti non più coperti dal genero. A lui è stata affidata anche la missione di consegnare i progetti del padre (che si definisce inventore, pur con esiti discontinui) all’Imperatore Napoleone in persona. Insomma, il viaggio è pieno di insidie e Pier è un quattordicenne imbranato e troppo fiducioso nell’umanità, tanto da finire più volte nei guai.
Non anticiperò qui le innumerevoli peripezie dei due fratelli, ma l’invito è a farsi rapire da questo romanzo di formazione, così autentico, denso e impregnato di quella intensità con cui solo in adolescenza si vivono certe emozioni. Una scrittura magistrale, misurata, in cui emerge anche l’approfondimento intorno al contesto storico, in parallelo alla costruzione di personaggi, tridimensionali, veri e presenti, anche quando sembrano muoversi solo sullo sfondo. Una bella prova, che fa sperare in altri romanzi dell’autore (e sceneggiatore) belga.
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