Questo articolo è uscito su Andersen 371 – aprile 2020, quando ancora non sapevamo dell’improvvisa scomparsa di Pietro Formentini, mancato il 28 marzo dopo un ricovero per sospetto Covid-19. Il numero di aprile sarà distribuito gratuitamente in formato digitale a tutti coloro che sono iscritti alla nostra newsletter.
La prima volta che ho incontrato Pietro Formentini sono rimasta affascinata dalla sua voce calda, rotonda. Perfetta per dare corpo alle parole. Quelle parole così importanti del suo farepoesia, quella sua speciale arte che mette in continuo dialogo parole, suoni, segni, immagini.
Un farepoesia – “un po’ pop”, come si diverte a definirla lui stesso – che ha regalato alla poesia una nuova forma, un nuovo linguaggio, una nuova corporeità. È un modo speciale di fare poesia, il suo, un modo per avvicinare chi ancora non l’ha incontrata sulla sua strada o chi se ne sta già allontanando perché, diciamolo, non è una strada facile, troppo frequenti gli ostacoli ermetici, le convenzioni liricheggianti.
La poesia di Pietro Formentini è invece una ricerca continua, un costante stimolo a nuova immaginazione, convinto com’è che “L’immaginazione farà nascere rinnovate parole, che genereranno altra immaginazione, e la terranno viva, e sapranno nuovamente stimolarla” (Mongolfiere di parole). Il suo giocare con le parole è proprio questo, far sì che ogni parola dia energia alle altre, in un rapporto dinamico e sempre nuovo, dove suoni e significato si intrecciano creando un nuovo linguaggio. Un immaginare poesia che è rivolto a un pubblico bambino per provocare curiosità e desiderio di esplorare tra le parole.
Non è un ‘furbetto’ strizzare l’occhio con filastrocche semplici e semplici rime, che vogliono attrarre e farsi benvolere, come spesso fraintende chi crede, editori compresi, che i bambini si possono facilmente accontentare. I versi che troviamo nei libri di Pietro Formentini indicano un uso sapiente del linguaggio, una sensibilità attenta nei confronti delle parole e del ritmo che insieme possono creare, un occhio vigile anche se divertito, mai gioco di parole fine a se stesso, né scontato uso della rima che a volte c’è e a volte no, perché non basta la rima a fare la poesia.
Le parole possono essere semplicemente parole o possono avere una funzione poetica, immaginifica e al contempo fisica, possono attingere dalla realtà trasformando la realtà. Possono essere vocaboli abituali ma solo la poesia sa trasformarli in immagini evocative:
Spunta una mela
ogni mattina
si alza presto
dal fondo del mare
è invece un’arancia
che lenta di sera
si addormenta
tra le onde profonde
del fondo del mare
(Faccia di sole, Polpettine di parole)
Potete leggerla questa poesia ed è già bella così, per il potere dalla lingua scritta, ma se l’avete anche solo una volta ascoltata dalla voce di Pietro Formentini, questa voce continuerete sempre a sentirla.
E lo potete vedere anche, mentre fa spuntare il sole e poi tramontare e, catturati come siete dalla sua voce e dai suoi gesti, vi dimenticate che quello che muove davanti ai vostri occhi sono davvero i due frutti che scrive.
Il rapporto costante che Pietro ha con la voce, trova senz’altro le radici nel suo amore per il teatro, nel suo piacere di dare corpo alle parole. Una passione che lo ha visto attore e regista teatrale, prima ancora di diventare poeta, parola questa che però lui utilizza per sé quasi con pudore, preferendo definirsi “autore di poesie per ragazzi”, benché il termine “poeta” sia più che meritato.
E non solo poeta, direi, perché Pietro è un artista completo, è artista di parole, di voce, di gesti e di disegni e non potrebbe che essere così, perché è arte la sua Poesia.
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