Questo articolo è apparso su Andersen n.354. Abbonati ora per sostenere la rivista.
Manifesti, cartoline, brochure: la pubblicità del turismo in quota
Vette scintillanti al sole e solenni ghiacciai (un tempo si diceva eterni ma adesso…), prati smeraldini e boschi di conifere, guglie e pinnacoli, avvenenti sciatrici e prosperose escursioniste che fanno solecchio, piste innevate e piccoli laghi alpini dai riflessi cangianti, sentieri ombrosi e rifugi, hôtels de charme e campanili a cipolla. Nella pubblicità turistica dedicata alla montagna vi sono, ovviamente, una serie di luoghi deputati e di situazioni che tendono a ripresentarsi, pur nella estrema versatilità della loro rappresentazione.
Di certo, per secoli, le montagne vennero viste come luoghi impervi e inospitali, orridi e remoti. Sedi di creature barbare, di orchi e giganti (basti pensare alle varie declinazioni del mito dell’uomo selvatico). Quando nel nostro paese – nella seconda metà del XVII secolo – si sviluppa il fenomeno del Grand Tour, i rampolli delle aristocrazie europee che scendono a scoprire le bellezze dell’Italia, attraversano la Val d’Aosta ma si tengono ben lontani dalle numerose valli laterali. Anzi, quei pochissimi eccentrici che lo faranno, ci lasceranno descrizioni inorridite sulle condizioni di vita dei valligiani, sul loro vivere in promiscuità con gli animali, su comunità spesso chiuse dove i matrimoni fra consanguinei provocano la nascita di povere creature deformi. Il paesaggio montano muta pian piano con il termine della stagione del classicismo e l’emergere delle pulsioni romantiche. I canoni estetici divergono e si comincia ad apprezzare tutto ciò che appare come primitivo, caotico, indeterminato, sempre sul punto di diventare altro. Poi, dalla seconda metà del ‘700, grazie soprattutto agli inglesi, inizia la sfida degli scalatori alle grandi vette alpine: fra fini scientifici e spirito d’avventura.
Orbene, non è questa la sede per ricostruire, anche per sommi capi, l’evolversi del turismo montano ma già un secolo dopo (si pensi al caso di Chamonix), alcune località diventano sedi di prestigiosi ritrovi mondani dove una ancor ristretta ma facoltosa clientela, vuole trascorrere le proprie vacanze e ribadire al contempo il proprio status sociale. In parallelo, peraltro, con analoghe evoluzioni che si hanno sul versante balneare. Ed è così che anche i centri montani e le località termali irrompono sulla scena pubblicitaria, allorché – con l’invenzione dei processi di riproduzione fotomeccanica – l’affiche pubblicitaria celebra i suoi fasti.
Ma direi che la vera svolta si ha quando, con l’aumentare della platea dei possibili consumatori, al manifesto pubblicitario effimero e fragile nelle sue grandi dimensioni si passa alla brochure, al dépliant. Maneggevoli, conservabili anche a lungo come testimonianza di un piacevole periodo di vacanze, indubbiamente allettanti sul versante grafico, gli opuscoli pubblicitari diventano un formidabile e al tempo stesso discreto strumento di informazione.
Accanto ad un più tradizionale formato a libretto ben presto altri se ne affermano con presentazioni “a leporello” che aprendosi talvolta danno vita, su di un lato, a vere proprie cartine geografiche. Si tratta di rappresentazioni plastigrafiche nelle quali un certo territorio ci appare a volo d’uccello, mettendo nitidamente in rilievo sentieri e località, punti panoramici e quant’altro.
In questo campo spicca il nome di un talento come l’austriaco Heinrich C. Berann, che sovente realizza anche le illustrazioni della brochure dando vita a immagini ricche di bonaria ironia o di visioni dal gusto surreale. In Italia sulle tracce di Berann si è posto l’amico Leo Pecchioni, pittore e designatore pubblicitario, scomparso alcuni anni or sono. Accanto alla vitalità e all’energia che promana dall’esaltazione degli sport invernali il soggiorno estivo si impone come momento di calma, di rigenerante tranquillità. Passeggiate ed escursioni, piccoli ozi e la scoperta della buona cucina. Eh già perché, ben presto, si scoprono le insospettate virtù, sane e oneste, di valligiani visti in precedenza come simbolo stesso di ogni arretratezza. Va da sé che, come in tanti altri settori della comunicazione pubblicitaria, si affermino stabilimenti tipolitografici all’avanguardia e capaci di esaudire le più diverse esigenze dei committenti. Al loro servizio uno stuolo di onesti professionisti fra cui spiccano però i nomi di grandi illustratori che in non pochi casi si dimostrano capaci di transitare, senza difficoltà, da un campo all’altro delle arti applicate. Basti un esempio: nel 1934 la Barabino & Graeve di Genova affida a Giuseppe Riccobaldi l’incarico di realizzare un elegante volumetto di 40 pagine per celebrare i primi fasti del Sestriere con le sue celebri e avveniristiche torri a rampa centrale. Riccobaldi, oltre a creare decine di manifesti e disegni pubblicitari, sarà anche pittore e piacevolissimo illustratore di libri per l’infanzia. Giovanni Agnelli, il padrone della FIAT, nel 1930 si era affidato, per la rapidissima costruzione del complesso, a Vittorio Bonadè Bottino, lo stesso progettista di Mirafiori e del Lingotto. L’opuscolo in copertina ci regala una fascinosa visione che chiamerei a volo d’elicottero. Gli edifici spiccano visti, in diagonale, fra la morbida neve color crema e gli alberi aguzzi. Il tutto alludendo ad una grafica latamente futurista. All’interno invece, accanto ad un abbondante materiale fotografico spiccano cinque tavole sospese fra grafica Novecento ed eleganze Déco.
Ma la montagna la si conquista anche con la velocità ed ecco che sempre più, negli anni ‘30, dalle copertine dei fascicoli fanno la loro comparsa automobili impegnate a divorar le erte strade alpine. Ad apparire sullo sfondo gli “iceberg di pietra” delle Dolomiti, con la loro ferma mutevolezza (se mi si passa l’ossimoro). E forse, giusto per citare un altro grande artista, il miglior cantore dei Monti Pallidi come di tutto il Trentino Alto Adige è stato Franz Lenhart (1898-1982). A lui tirolese di nascita (era nato in Austria a Kufstein) va – e non paia paradossale – il merito di aver dato un’immagine di quei territori lontana dallo stereotipo rurale e di averli, per più versi “portati” in Italia contribuendo in modo fondamentale alla nascita di nuovo paradigma turistico.
L’articolo è pubblicato sul numero di luglio/agosto di Andersen. Sostieni la rivista con un abbonamento!