Premio Andersen 2021: Miglior albo illustrato La quarantesima edizione

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François Truffaut. Il bambino che amava il cinema di Luca Tortolini – ill. di Victoria Semykina, Kite

Per illustrazioni briose ed eleganti, nervose e musicali, sempre contrassegnate da un sicuro possesso delle tecniche. Per un dialogo avvincente e serrato che pagina dopo pagina si dipana fra la storia e le immagini. Per l’efficacia narrativa di un testo sincopato e incisivo.

 

La recensione di Walter Fochesato su Andersen n. 380 (marzo 2021):
Comincio dall’albo che mi ha fatto scoprire il segno di Victoria Semykina: una vera e propria rivelazione, per me. Di origini russe, da alcuni anni vive e lavora a Bologna anche se i suoi lavori sono assai più conosciuti all’estero. E fin qui, verrebbe da dire, nihil sub sole novum. Si tratta di: François Truffaut. Il bambino che amava il cinema (Kite Edizioni, 2020). Truffaut (1932-1984) è stato senza alcun dubbio uno dei massimi autori della cinematografia internazionale: basti pensare a opere come I quattrocento colpi, Jules e Jim, Fahrenheit 451, Baci rubati, Il ragazzo selvaggio. Assieme ad altri registi (Chabrol, Godard…) diede vita alla corrente della Nouvelle Vague, destinata a influenzare profondamente il modo di fare cinema e non soltanto in Francia. Tortolini, cinefilo competente e appassionato, rievoca adesso la non facile infanzia e la tormentata adolescenza del regista, confermandosi altresì, con questo lavoro, come uno dei più valenti e accreditati autori nella misura breve dell’albo illustrato. La passione ossessiva per la lettura nei silenzi forzati delle pareti domestiche; l’amicizia fortissima con Robert Lachenay e la comune scoperta dell’amore per il grande schermo; i percorsi scolastici a dir poco accidentati; la ribellione che lo porta alla fuga da casa, al carcere e al riformatorio; al contempo la traumatica scoperta che il padre Roland non è quello biologico ma lo ha soltanto riconosciuto alcuni anni dopo la sua nascita. A salvarlo, per fortuna, c’è il cinema: esordisce infatti con recensioni di film, attirando l’attenzione di André Bazin, grande studioso e critico della “settima arte” che diventa per il giovane François quella figura paterna che non aveva avuto. Poi, dopo alcuni cortometraggi, il successo forte e immediato raggiunto nel 1959 con I quattrocento colpi, dalla marcata dimensione autobiografica. Fin qui la vicenda, che Luca ci narra con stile che oserei chiamare cinematografico, sincopato e serrato, incisivo e mai banale. Un albo, lo avrete già capito, felicemente e deliberatamente “per tutti”. Dove, fin dal titolo, si allude, ad un altro lavoro di Truffaut: L’uomo che amava le donne del 1977. Ma tutto ciò vive e si esalta in virtù delle splendide tavole della Semykina. Il suo è un segno personalissimo all’insegna di una “naturale” e briosa eleganza. Uso le virgolette perché quel che appare come spontanea predisposizione al racconto della quotidianità è, in realtà, frutto di una vasta cultura figurativa riassunta e declinata in atmosfere dall’andamento nervoso e musicale, con vivissimi e mutevoli contrasti di lume e improvvise, abbaglianti solarità. La tendenza ad un allungamento delle figure, una nota costante di arguzia e di ironia che, quand’occorre, diventano ora trepida poesia ora attonita malinconia: tutto ciò mi fa pensare – ma sono soltanto alcuni possibili nomi, del tutto soggettivi – a Miroslava Sasek e a Saul Steinberg. Per arrivare, direi, a Beatrice Alemagna. Più in generale vi leggo l’esperienza preziosa e innovativa dell’illustrazione e della grafica pubblicitaria americana della seconda metà del ‘900: da Leonard Wiesgard a David Stone Martin con le sue magnifiche copertine per dischi, che non poco contarono nell’esperienza di Crepax. Aggiungo che la Semykina combina virtuosamente nelle sue tavole le tecniche più diverse: dall’acquerello al collage, dalla tempera agli inchiostri senza disprezzare qualche puntata in direzione del digitale.

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