«C’è una scuola grande come il mondo» scriveva Rodari in una sua filastrocca e l’espressione sembra calzare a pennello per descrivere la pratica educativa di Mario Lodi, che è riuscito a portare i suoi alunni a misurarsi con il mondo, partendo dalle loro esperienze e curiosità e valorizzandole. Al celebre insegnante, autore di Cipì, è dedicata la mostra La scuola di Mario Lodi, costruita dalla Casa delle Arti e del Gioco – Mario Lodi e curata graficamente da Orecchio Acerbo, che dopo aver fatto tappa in varie città italiane è ora ospitata nella prestigiosa cornice della Biblioteca nazionale centrale di Roma. Inaugurata il primo dicembre scorso, resterà aperta al pubblico fino al 24 febbraio.
È, quella di Lodi, un’esperienza educativa e didattica innovativa e preziosa, che ha nella storia della scuola italiana una dignità e significatività come poche. Il percorso espositivo riesce a restituire la ricchezza – e il fascino – di tale esperienza, costruendo un racconto che si snoda su un doppio livello, fotografico e testuale. Gli scatti fotografici mostrano l’organizzazione degli spazi e alcuni lavori, come il suggestivo esempio di pittura collettiva La vendemmia, ma soprattutto restituiscono l’immagine di un insegnante che sa entrare efficacemente in rapporto con gli alunni e della classe come vivace cantiere educativo, in cui i bambini sono «felici nel lavoro, seri, impegnati», alle prese con il limografo o il ciclostile, con il bilancio del giornalino, con la scrittura, la pittura, la musica…
Attraverso i testi si dà voce a Lodi stesso: si tratta infatti di un’interessante e significativa scelta di riflessioni tratte dai suoi scritti; accanto alle parole nitide di Lodi, quelle dei suoi alunni (interessanti scorci di dialoghi) e alcune tratte dalle lettere di Don Milani e Rodari. Quest’ultimo, scrivendo alla classe, fornisce delle sollecitazioni su un aspetto che gli è caro: «Spero che ritornerete sull’argomento per approfondire la riflessione sul linguaggio della poesia (la parola giusta al posto giusto, la parola più espressiva, la parola più piena di significato)».
Di pannello in pannello ci si accosta ad alcuni degli aspetti caratterizzanti l’approccio di Lodi, approccio che nasce in lui da necessità intellettuali, dalla volontà di opporsi all’insidioso metodo autoritario, e che trova linfa nelle metodologie che il Movimento di Cooperazione Educativa, sulla scorta di Freinet, va sperimentando: realizzazione di un giornalino scolastico, corrispondenza, ricerca…
Emerge una figura di insegnante che si impegna a sollecitare la creatività e a coltivare «i primi germogli dell’atteggiamento scientifico» e che lavora a rendere la classe una piccola comunità, facendo maturare nei bambini l’adesione a valori saldamenti democratici. La scuola di Lodi appare un terreno in cui davvero, per dirla con Morin, crescono teste ben fatte.
La mostra può essere un’occasione per conoscere più da vicino lo spessore umano, didattico e civile del suo percorso. Non solo per omaggiarlo a conclusione del centenario dalla nascita (1922) ma per provare magari, con la stessa serietà, a raccoglierne il testimone: «Abbiamo lasciato un segno a chi vuole continuare…», suggerisce infatti Lodi nelle parole scelte come sottotitolo della mostra.