L'ARTICOLO DEL MESE

L’omelette di Alessandro Sanna di Andrea Valente

ev_mese[da ANDERSEN 331 – aprile 2016] Poi le gocce di colore che si espandono, quattro pennellate, quanto basta pure per loro, e la tavola è pronta. Imbandita o dipinta, sempre una tavola è. Un incontro con l’illustratore finalista H.C. Andersen IBBY Award.

È lì che spadella, Alessandro, non particolarmente amante della cucina, se vista da dietro i fornelli, certamente più avvezzo al ruolo di commensale e a suo agio con le gambe sotto il tavolo. Però, se capita, due uova te le cucina senza problemi. Anzi, di più, te le propone come omelette e tu fai sì con la testa, che a uno che disegna come lui è permesso anche un pizzico di millantato credito. Quanto basta, come il pizzico di sale.
Invece scopri che la padella la maneggia con leggerezza; che lì dentro prende la sua forma qualcosa di molto simile all’omelette cui non credevi, ma vedrai che al momento di ribaltarlo saranno guai. Invece quello vola, dopo un rapido gesto dell’avambraccio, contorcendosi nell’aria e si riposiziona nel tegame, ancorché parzialmente tumefatto e scomposto, con qualche schizzo di tuorlo sul pavimento a ingolosire il cane Billy. L’omelette te la serve davvero, Alessandro, con del formaggio a sciogliersi e quelle cose lì.

Poco importa come si rompe l’uovo: la crepa nel guscio sarà sempre diversa e imperfetta e proprio questo la renderà unica e perfetta. E la forma dell’omelette, con qualche grumo di albume di troppo, un po’ bruciato sul lato, ogni volta irripetibile, è proprio quella che dev’essere, solo che fino ad allora nessuno lo sa.
Più o meno allo stesso modo lui disegna e dipinge, tracciando sulla carta segni come crepe sul guscio, versando l’acqua sul foglio senza troppo badare a dove va a finire. Poi le gocce di colore che si espandono, quattro pennellate, quanto basta pure per loro, e la tavola è pronta. Imbandita o dipinta, sempre una tavola è.

Con il vino no. La bottiglia la stappa con più calma e attenzione, che quelle gocce non vanno sprecate, ma dosate come la china sul foglio, che scende dal pennino, e mentre ti riempie il bicchiere ti racconta di sé, dai primi sorsi e sorrisi a oggidì.
C’è il cannonau della parte sarda che è in lui, forte, placido, che ti accompagna fino a sera e ti mette pure a dormire, che da solo non ce la fai. È un fiume lento che scorre piano e inesorabile, quel vino insulare, il cui colore non puoi non ritrovarlo nel lento fiume a due passi da casa e nelle sue pagine a colori, che anche loro ti accompagnano tra le lenzuola: viola e blu, insieme a squarci di arancione, che è lo stesso arancione della tenda che anni addietro riparava dal sole. C’è il lambrusco, frizzante ma non per forza, che ride nel bicchiere e anche lui ti lascia poi lì a pensare e a riflettere di rosso. E ci sono i vini della Puglia, che per Alessandro hanno il significato intenso dell’amicizia e dipingono il ricordo di lunghi periodi trascorsi laggiù, di tanti compagni e tante serate, con la nostalgia e l’allegria che si mischiano nel bicchiere e di nuovo tutti a letto.
Il letto, che anni addietro era quello di mamma e papà, dove tuffarsi come in un’ansa del Po, solo che nel fiume non aveva il permesso, mentre tra le coperte a volte sì. E tra i tanti polpastrelli piccoli e grossi, eccoti le grandi pagine di Pinocchio da sfogliare, primo libro a entrargli nel cuore, per non uscirne mai più. Ma certo non un Pinocchio qualsiasi, bensì quello folle e inimitabile di Geppetto Jacovitti, che chi ce l’ha sullo scaffale ogni tanto lo riapra, per cortesia, paraponzi-ponzi-pò. E i Puffi di gomma sul cuscino, comprati con la paghetta al supermercato di zio Enzo. C’è da immaginarselo, il piccolo Alessandro, con mamma di qua, babbo di là, il blu puffoso e altri mille colori, salami e lische di pesce da ammirare, per confonderli poi nei sogni e portarseli un giorno al lavoro, in futuro, chissà.

E prima di Pinocchio, vien da chiedersi dove galoppava la fantasia di Alessandro.
Anni Ottanta, campagna, prati, un gruppo di amici… Dove vuoi che corra, lei con lui? Con i piedi nei sandali di quegli anni, due buchi sulla punta e il laccio con la fibbietta… Correva dietro a un pallone, da calcio o da basket, ed era sempre tra i primi a entrare in squadra e tra gli ultimi a uscirne. In porta, sul prato verde, ovunque, sotto canestro. Alessandro dice pure di essere stato bravino in entrambi gli sport, che non si sa se crederci, ma dopo la prova dell’omelette si ha più voglia di dargli retta. Oltretutto deve avere avuto una mano felice già allora, anzi due, se il canestro lo centrava più sì che no e anche i tiri dei centravanti li fermava con sicurezza e abilità. Ci credo, ci credo. Però, tutto sommato, meno male che ti sei poi dato ai colori e ai pennelli.

Infine ti serve il caffè. E pensi a quanti di noi, se costretti a spadellare, più in là di due uova e un caffè non sanno andare… È buono, il caffè, ma non sai se lo è davvero o è una suggestione dovuta allo sguardo dei Puffi, o per l’effetto annebbiato dei suoi racconti di quel dì, delle bottiglie stappate, della moka con i baffi o dei colori sulle sue carte da acquarello. Lo bevi e basta, che quando il caffè è buono non serve altro, come un buon libro, magari con delle belle illustrazioni, che paiono semplici come un’omelette, ma vai a farla, tu, un’omelette come quella…

Alessandro Sanna è stato a Genova a novembre e dicembre, con le iniziative in programma con “Andersen per Genova”: scopri di più qui

[Questo articolo è stato pubblicato su Andersen n.331 – aprile 2016. Scopri il resto del numero qui.]

[ANDERSEN 331 (aprile 2016) è in vendita eccezionalmente sul nostro BOOKSHOP]