Incontrare scrittura e pensiero di Beatrice Solinas Donghi: l’articolo di Giovanna Zoboli è pubblicato sul numero estivo di Andersen n.404, un monografico dedicato alla fiaba e ai centenari dalla nascita di Italo Calvino e Beatrice Solinas Donghi. Per sostenere la rivista Andersen, abbonati ora!
Le fiabe mi sono sempre interessate e, come lettrice, non le ho mai abbandonate. Mi interessa la corrispondenza esemplare che vi si riscontra fra forma e contenuto, specie in quelle cosiddette popolari o tradizionali, dove la radice dell’oralità si avverte con maggior forza.
Per questo, alcuni anni fa, quando facevo corsi e lezioni sull’immagine e la scrittura negli albi illustrati, dedicavo loro ampio spazio. Le fiabe rappresentano, infatti, una sorta di kit ideale per l’aspirante scrittore di libri destinati ai bambini (ma non solo, in verità, possono insegnare a tutti il rispetto del lettore, l’importanza della qualità narrativa e letteraria di un testo, la sua profondità nella sintesi e molto altro). Fra le fiabe che proponevo non mancavano mai quelle di Beatrice Solinas Donghi. Le avevo scovate e acquistate in un remainder: Le fiabe incatenate e La gran fiaba intrecciata, pubblicate da Edizioni EL, con le illustrazioni di Emanuela Bussolati.
La prima cosa che lessi di Solinas Donghi, fu, però, La fiaba come racconto, alcuni anni dopo aver studiato le fiabe nei saggi di Propp, Bettelheim, von Franz, Calvino etc.. Avevo acquistato il saggio, usato, nell’edizione Marsilio del 1976. Mi affascinò il punto di vista radicalmente diverso che opponeva alle tendenze interpretative più in voga del periodo. Come scrive Pino Boero, curatore della nostra edizione, uscita nel 2022: «Quando nel 1976 uscì da Marsilio la prima edizione di La fiaba come racconto pochi fra gli studiosi sfuggivano al richiamo dei significati profondi delle fiabe, delle strutture narrative riconducibili a precise funzioni, delle ‘opportunità’ didattico-pedagogiche offerte da testi ‘elementari’; era come se il fascino dei “congegni” vincesse sulle “ragioni del racconto” e nascondesse quel piacere di una narrazione che invece doveva venire prima di ogni altra ricerca. Beatrice Solinas Donghi rifletteva da anni sulla fiaba e lo faceva soprattutto sul terreno dei testi […] la scrittrice era giustamente convinta che la fiaba fosse soprattutto narrazione e che la ricerca affannosa di significati latenti, dalle spiegazioni psicoanalitiche a quelle etnologiche, finisse per nascondere “le ragioni del racconto”; proprio per questo i capitoli del libro costituiscono ancora oggi l’esempio più persuasivo di come possano proficuamente accordarsi riflessione critica e invenzione letteraria; di come possano convivere il fascino della parola raccontata, il gusto dell’intreccio, il piacere dell’ascolto e della lettura…» Non so come si potrebbe dire meglio.
I significati latenti e le interpretazioni offerte alle fiabe da discipline diverse sono sicuramente interessanti e forniscono brillanti spunti di riflessione, ma non c’è dubbio che restituire alla narrazione e al fascino della parola e dell’intreccio il posto che dovrebbero occupare nella valutazione di quella che è la più alta espressione di narrativa orale, cioè la fiaba, è un’operazione fondamentale che ha molti meriti.
Il narratore di fiabe sa che la storia deve essere un meccanismo efficiente, capace di tenere alta la soglia dell’attenzione del proprio uditorio attraverso una forma perfetta, altrimenti non funziona. Sa che il racconto va costruito secondo una orchestrazione ritmica serrata, sapiente, rapida, tesa.
Cito un passo dal saggio di Beatrice Solinas Donghi: «Al narratore orale è precluso il grigiore e l’uso dello sfumato; i mezzi con i quali ottiene la sua meccanica interiore di momenti sospensivi e risolutori debbono potersi mandare facilmente a memoria (che è come si capisce la prima esigenza di ogni narrativa non scritta); essere semplici, perciò, e nello stesso tempo abbastanza brillanti da colpire l’attenzione. Mancandogli le sottigliezze dell’analisi psicologica e le risorse descrittive del naturalismo, capaci di restituire sulla pagina l’immagine di un mondo “reale”, il narratore orale è condannato, per farsi ascoltare o anche solo per tenere insieme i suoi racconti alla ingegnosità coatta e alla bravura scoperta.»
A proposito della bellezza narrativa della fiaba, si è espresso Italo Calvino, non per niente lettore e ammiratore di Solinas Donghi, nelle Lezioni americane, al capitolo Rapidità quando spiega la propria predilezione per la fiaba: «Se in un’epoca della mia attività letteraria sono stato attratto dai folktales e dai fairytales, non è stato per fedeltà a una tradizione etnica, né per nostalgia delle letture infantili, ma per interesse stilistico e strutturale, per l’economia, il ritmo, la logica essenziale con cui sono raccontate.» E più avanti: «Come per il poeta in versi così per lo scrittore in prosa, la riuscita sta nella felicità dell’espressione verbale, che in qualche caso potrà realizzarsi per folgorazione improvvisa, ma che di regola vuol dire una paziente ricerca del mot juste, della frase in cui è ogni parola è insostituibile, dell’accostamento di suoni e di concetti più efficace e denso di significato. Sono convinto che scrivere prosa non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia: in entrambi i casi è ricerca d’un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile.»
Nelle raccolte di fiabe di Solinas Donghi si trovano realizzate queste linee programmatiche grazie a quello che ritengo un felice incontro fra un grande talento letterario, un profondo acume di studiosa e un vivo amore per la fiaba, senza i quali le aspirazioni sarebbero rimaste tali.
Nell’introduzione alla raccolta di brevi saggi Scrivere per bambini, a cura di Francesca Lazzarato (Mondadori 1997), Bianca Pitzorno nell’analizzare le differenze fra generi letterari, a proposito della fiaba ‘moderna’ osserva: «Personalmente credo che sia molto difficile per un autore contemporaneo scrivere una bella fiaba, qualunque sia l’età del pubblico cui si rivolge. Così come sarebbe difficile scrivere un poema epico come l’Iliade e l’Odissea. Ogni genere letterario è legato al suo tempo, ogni testo nasce da un insieme di condizioni “esterne” che condizionano la sua formazione. La fiaba è nata come genere popolare, anonimo. In origine le fiabe venivano tramandate oralmente, modificandosi al passaggio da un narratore all’altro. Come il narratore non era un letterato, così l’uditorio era popolare, familiare, d’età mista: comprendeva tutte le generazioni di una comunità o d’una famiglia. Le fiabe più belle del nostro patrimonio popolare non hanno autore ma sono il frutto del talento di innumerevoli e anonimi narratori.»
È vero. Le fiabe, nonostante si tratti del materiale letterario in assoluto più manipolato attraverso i secoli, andrebbero maneggiate con cura. Tuttavia, per quanto sia difficile, oggi, scrivere una fiaba, non è impossibile.
Beatrice Solinas Donghi fa parte di quell’eletta schiera che è riuscita a farlo. Le sue fiabe sono incantevoli, brillanti, acute, divertenti, coinvolgenti, profonde esattamente quanto quelle della tradizione. Durante la loro lettura si ha l’impressione di stare ascoltando la voce di una grande narratrice, in possesso di tutti i mezzi più sottili dell’arte di farsi ascoltare. Le sue fiabe, belle e preziose, hanno la capacità di resuscitare gli archetipi e di fare sperimentare l’incanto che si può sprigionare da una narrazione. Le sue fiabe (e il suo saggio) in questo senso costituiscono un grande ricchezza e una grande lezione. Ecco la ragione per cui, quando abbiamo saputo che questi volumi si trovavano ormai da tempo fuori catalogo, abbiamo deciso di ripubblicarli. In tutti e tre i libri (La gran fiaba intrecciata uscirà in autunno) cospicua rilevanza ha la parte visiva: decisione che dipende dalla nostra convinzione che le fiabe meritino un corredo di figure nate da immaginari ricchi, articolati, profondi. Irene Rinaldi ha realizzato le illustrazioni di entrambe le raccolte di fiabe; Anna Martinucci ha curato la ricerca iconografica del saggio, che attinge alle maggiori espressioni visive che, nel tempo, hanno accompagnato le fiabe di tutti i tempi. Ci sembra proprio che i lettori, piccoli e grandi, e gli studiosi di oggi lo meritino.