L’intervista a Kęstutis Kasparavičius – maestro dell’illustrazione lituana, più volte candidato all’H.C. Andersen IBBY Award e all’Astrid Lindgren Memorial Award, attivo fin dagli anni ’80 del Novecento e protagonista della rinascita della letteratura per l’infanzia del suo Paese dopo la riconquistata indipendenza nel 1990 – fa parte dei contenuti di uno speciale Dossier Lituania. Il numero 339 di Andersen si apre proprio con la copertina realizzata, con la complicità della nostra art director Alessandra Carli, da Kasparavičius; a cui, oltre l’intervista di Anselmo Roveda, è dedicato un approfondimento di Walter Fochesato. Il dossier ospita, inoltre: un articolo introduttivo di Anselmo Roveda, che si è recato a Vilnius, la capitale del paese baltico, per noi; un contributo di taglio storico, firmato da Eglė Baliutavičiūtė, sulla letteratura lituana per l’infanzia nell’età di passaggio tra occupazione sovietica e nuova indipendenza; una testimonianza sul lavoro di IBBY Lituania, firmato da Inga Mitunevičiūtė; un articolo sul panorama attuale della letteratura lituana per ragazzi, con particolare attenzione a quella finora giunta in Italia, firmato da Toma Gudelytlė, traduttrice lituana che ha collaborato alla realizzazione dei contenuti di questo numero, e vari box d’approfondimento. Sostieni la rivista Andersen e abbonati ora!
La tua formazione iniziale è di tipo musicale, hai studiato direzione e composizione corale, poi hai intrapreso gli studi nelle arti visive all’Accademica di Vilnius. Quando e perché hai scelto il visivo? E quale ritieni essere il rapporto tra la musica e il tuo lavoro di artista e illustratore?
La mia strada verso l’illustrazione è stata alquanto tortuosa. Sono nato in un piccolo villaggio nei dintorni di Vilnius, nel vecchio possedimento di Vladislava. Il proprietario del possedimento, il duca Władysław Odyniec, era riuscito a fuggire in Polonia con la famiglia prima dell’arrivo dei sovietici. Il loro palazzo è rimasto abbandonato fino al 1953, anno in cui è stato trasformato in scuola elementare. Per molti anni ci hanno lavorato i miei genitori e noi, in quanto famiglia di insegnanti, abbiamo vissuto proprio in quel palazzo storico. Era un posto stupendo, sulla riva di un lago, circondato dall’enorme parco centenario. È lì che ho passato i primi anni della mia infanzia insieme ai miei fratelli maggiori, poi all’età di 7 anni sono stato mandato alla scuola delle arti “M. K. Čiurlionis“ a Vilnius. Lì ho studiato musica, per la precisione direzione corale. Arrivato agli ultimi anni ho capito di non essere portato per quella strada, sentivo che mi mancavano le capacità e il desiderio. Adesso, conoscendomi meglio, riesco a spiegare quel rifiuto: sono una persona decisamente introversa, mi piace lavorare in solitudine. Il lavoro di squadra non fa per me. Inoltre, mi tengo alla larga dal palcoscenico, dagli eventi grandi ed esperienze simili. È stato mio fratello maggiore Vydas a sostenere la mia decisione di abbandonare la musica e scegliere l’Accademia delle arti (all’epoca era studente del secondo anno), mi ha aiutato con gli esami di ammissione.
Ho dedicato dieci anni alla musica, ciononostante non provo nessun rimpianto. La musica continua ad accompagnarmi nella vita: mentre lavoro, lascio la musica suonare per tutto il tempo. Adoro la musica del primo rinascimento, per molti anni quasi dimenticata e solo recentemente, grazie agli studiosi e alle ottime esecuzioni, tornata a una nuova vita. Amo sentirla eseguita con gli strumenti d’epoca rispettando lo spirito autentico di quel periodo; anche la musica barocca riesce a trasmettermi molto. Tuttavia non potrei affermare che le mie illustrazioni siano in qualche modo musicali, se in generale lo possono mai essere. Sono semplicemente nate ascoltando la musica. Come non potrei sostenere che sarebbero diverse se nascessero in silenzio. In ogni modo, la musica mi aiuta a concentrarmi e ad evadere dal caos del mondo. Oltre a ripararmi dai rumori di strada che stanno oltre la finestra del mio studio.
Come è avvenuto l’incontro, da artista, con l’editoria per l’infanzia? Quando e perché hai iniziato a illustrare per bambini?
All’Accademia delle arti non avevo studiato arte grafica applicata al libro, ma design industriale. Quindi, dopo gli studi, c’è stata un’altra svolta e gradualmente mi sono avvicinato all’illustrazione editoriale, facendola diventare la mia attività lavorativa principale. Tutto è iniziato con una casa editrice specializzata in testi scolastici che mi aveva commissionato l’illustrazione di due manuali sull’agricoltura. Vi confesso che non è stato particolarmente stimolante disegnare attrezzi agricoli e parassiti delle verdure. Però è stato un inizio fortunato, perché subito dopo sono arrivate delle proposte editoriali davvero interessanti per alcuni libri di lettura. Così sono stato catapultato in questo mondo e fino ad oggi ho illustrato ben 65 libri per i bambini, di cui 19 scritti da me.
Oggi penso che l’illustrazione dei libri per l’infanzia sia forse il più bel mestiere che esista. Se potessi scegliere di nuovo chi essere non ho dubbi: diventerei illustratore. È affascinante l’idea di poter immergerti in un mondo da te creato appena sfiori la carta con la matita, un mondo plasmato secondo la tua sensibilità e visione, dove riesci ad abbracciare con lo sguardo i più lontani orizzonti o le cime dei monti, salire su una nuvola e accarezzare il vento con le dita. Un mondo in cui è facile rifugiarsi da tutto quello che disapprovi o che ti crea disagio. Forse guardando da fuori questo modo di vivere può sembrare strambo o noioso, ma per me rappresenta tutto quello a cui ho sempre aspirato.
Cosa significa per te rivolgersi all’infanzia? Quali ritiene essere le peculiarità di un libro che avrà come lettori prevalentemente bambini e ragazzi?
Credo non dirò nulla di nuovo affermando che ogni cosa arrivi dall’infanzia. Le impressioni infantili, le avventure e anche le nefandezze compiute ci accompagnano per tutta la vita. Non importa la distanza, ritorna tutto, anche se a volte in modo non diretto. Intendo che le immagini, le emozioni e le sensazioni dell’infanzia agiscono tramite il tuo subconscio influenzando quello che stai scrivendo o disegnando, spesso anche inconsapevolmente.
Oggi penso che tutte le mie illustrazioni e le storie raccontate hanno avuto origine a Vladislava, in quel luogo incantato e tanto speciale per la mia infanzia. Penso a quando d’inverno la neve mi superava in altezza. A quando noi bambini facevamo rotolare dei pezzi ben più grandi di noi per costruire un pupazzo di neve. A quando non si riusciva a dormire di notte per lo scricchiolare del ghiaccio che ricopriva il lago, mentre al mattino ti svegliava il suono delle galosce della mamma sulla neve al ritorno dal pozzo con un secchio pieno d’acqua. A quando ci lanciavamo con la slitta dalla collinetta a tutta velocità, con un’esilarante caduta finale. A quando una volta sono finito con il mio cappotto invernale e gli stivali di feltro dentro un buco nel ghiaccio. Quella volta fu mio fratello maggiore a tirarmi fuori e portarmi a casa, congelato come un ghiacciolo. Ho come l’impressione che all’epoca facessimo parte di quella casa e di quegli alberi centenari, del bosco, dei cumuli di neve e del lago ghiacciato allo stesso identico modo di lepri, castori, scoiattoli, uccelli e pesci sotto il ghiaccio. Là tutti abbiamo vissuto con pari diritti.
Quando scrivo una storia o abbozzo un disegno quasi mai penso ai bambini. Se devo proprio essere sincero, scrivo ogni libro per me stesso. E solo per una strana e felicissima coincidenza quei libri piacciono anche ai ragazzi. Per me i bambini non sono dei marziani o abitanti di qualche pianeta lontano a me estraneo. Tutti noi siamo stati dei bambini, solo che alcuni lo hanno dimenticato. Per me l’esistenza è un continuum e non la divido in tappe separate non comunicanti. A pensarci bene, alla fine non sono tanto diverso da quel piccolo bambino i cui occhi riescono appena a sbirciare la superficie del tavolo di lavoro. Certo, le cose all’epoca sembravano ben più grandi, ma molti ricordi rimangono talmente impressi come se fosse successo ieri.
Credo che i libri d’infanzia siano uno strumento fondamentale per parlarsi tra generazioni, tra genitori e figli. Come una chiave per aprire una porta che ci separa. Sappiamo tutti quanto poco tempo in quest’epoca di corsa continua i genitori riescano a dedicare ai propri ragazzi. Per me il libro d’infanzia è un’occasione per ritrovarsi. Una mezz’oretta di lettura insieme prima di mettersi a dormire resterà l’attimo più prezioso della giornata.
Ricordiamo inoltre che anche la lettura ad alta voce è un atto creativo, non importa quanto si è grandi. Se il testo ti cattura, è un immergersi per ciascuno in un mondo diverso, nonostante si legga lo stesso libro. In fin dei conti ogni mattina tutti ci svegliamo in un mondo diverso, anche se viviamo nella stessa città, strada o condominio. Credo non esista uno scrittore in grado di predire come verrà letto il suo libro. Ecco, proprio qui sta tutto il bello del mio mestiere.
Grazie al tuo percorso, iniziato coi primi libri negli anni ’80 del Novecento, sei testimone della grande evoluzione avvenuta nella letteratura e nell’illustrazione per l’infanzia negli ultimi anni. Com’è cambiato, secondo te, il ruolo e la percezione del libro per l’infanzia in questi decenni? In Lituania e a livello internazionale.
Le mie prime illustrazioni risalgono al 1982, esattamente quarant’anni fa. Quando mi ci soffermo a riflettere, mi rendo conto di quante cose straordinarie e quanti cambiamenti importanti ci sono stati. La prima volta le mie opere sono state selezionate alla mostra e al catalogo degli illustratori della Fiera del libro di Bologna nel 1990. Fino ad oggi ho partecipato alla Fiera 12 volte e custodisco nella mia biblioteca casalinga non pochi cataloghi bolognesi. A volte li tiro fuori e li sfoglio con un immenso piacere. Mi colpisce sempre l’evoluzione dello stile e delle tecniche dell’illustrazione. Se negli anni Novanta dominava ancora il disegno a mano o comunque le tecniche tradizionali della grafica, nei cataloghi più recenti vedo tantissima illustrazione eseguita sul computer. Certo, non si può dire che le vecchie tecniche siano scomparse del tutto, del resto non è neanche la cosa essenziale: per me le due strade possono benissimo convivere.
Per un illustratore esordiente è opportuno mettersi in gioco provando le più svariate tecniche e strumenti, altrimenti come farebbe a scoprire cosa gli è più congeniale? Con il tempo fai delle scelte e ne scarti altre. Solo dopo aver tentato varie strade si giunge a capire che non è una tecnica più avanzata, uno strumento più ricercato o un software più furbo a creare l’illustrazione, ma tutto nasce lì: nella tua testa. Il resto è come un contorno, certamente rilevante, perché a tutti fa piacere lavorare con gli strumenti con cui uno si trova bene. La scoperta forse più piacevole consiste però nell’arrivare a capire che per creare una cosa valida basta l’essenziale.
Paragonando i libri di allora con quelli di oggi si nota subito quanto sia cambiata la qualità della stampa. Forse gli illustratori occidentali lo percepiscono meno, ma io ricordo ancora il mio enorme stupore nel prendere in mano un’edizione illustrata tedesca del 1989. I miei primi libri risalenti all’epoca sovietica erano di stampa pessima, quasi sgradevoli al tatto. Sono cambiate le illustrazioni, come sono cambiate anche le storie per i ragazzi. Sono entrati molti nuovi temi, precedentemente ignorati o inconcepibili nella letteratura per l’infanzia, ci stiamo liberando da certi stereotipi ed etichette. È possibile che il libro per l’infanzia continuerà ad andare in questa direzione e affronterà dei cambiamenti che oggi fatichiamo a immaginare. Inoltre vedo nascere tantissime iniziative legate all’editoria per l’infanzia: presentazioni di libri, laboratori creativi, fiere e incontri con i lettori. Negli anni ’80 tutto questo non c’era. Sono iniziative che sicuramente avvicinano i più piccoli lettori al mondo del libro e ai suoi creatori, oltre che incoraggiare la lettura stessa.
Oltre ai libri firmati come illustratore di testi altrui, hai realizzato anche opere come autore totale. Come è nata l’esigenza? Cosa rappresenta per te la possibilità di realizzare opere complete, testo e illustrazione?
Per lungo tempo, circa 20 anni, ho disegnato illustrazioni per i libri degli altri e non ho mai nutrito l’ambizione di mettermi a scrivere io stesso le storie. Infatti ho iniziato a scrivere molto tardi e in modo del tutto casuale. All’epoca (parliamo del 2002) lavoravo per l’editore taiwanese Grimm Press. Un giorno il mio editor ha avuto l’idea di pubblicare un libro ricco di illustrazioni per sostenere i bambini colpiti da un terremoto. Agli illustratori collaboratori della casa editrice fu chiesto di creare ciascuno un’illustrazione e una breve storia che non avesse nulla a che fare con il cataclisma. Così è nata la mia prima storia che parlava di un uomo cinguettante, “Songman”. All’editor è piaciuta molto e mi chiese se ne avevo delle altre nel cassetto. In modo un po’ spensierato risposi di sì, che certamente ne avevo qualcuna, senza capire bene il motivo, e lui proseguì con la proposta di pubblicare un piccolo libro di storie brevi. Convinto che l’editor avesse in mente il solito format da 32 pagine illustrate ho accettato. Solo dopo ci siamo chiariti: lui intendeva un libro da circa 80 pagine da riempire con ben 36 storie! Dissi allora che mi serviva del tempo per la traduzione in inglese e mi sono messo di corsa al lavoro. Non avevo scampo. In due mesi avevo le storie scritte e tradotte in inglese. È stato il libro più veloce che avessi mai realizzato, anche se ammetto che le prime storie erano del tutto semplici e brevi. Mi è stato sicuramente d’aiuto il fatto che nella testa mi frullavano diverse idee mai realizzate, accumulatesi in quegli anni illustrando i testi di altri autori. Così è nato il mio primo libro “Silly Stories” ed è uscito in lingua cinese. Solo molto dopo è stato tradotto in lituano e in altre lingue.
La scrittura e il disegno, nonostante siano pratiche strettamente intrecciate, sono due cose diverse. Non tutto quello che ti succede riesci sempre a tradurre in immagini, come non tutto quello che vedi o provi riesci a descriverlo con parole.
Concludendo: sei fieramente lituano, un “illustratore-simbolo” per le nuove generazioni del tuo Paese; e con il tuo lavoro hai portato prestigio alla Lituania e ai paesi baltici, ma sei anche uno dei grandi illustratori internazionali, con libri pubblicati in oltre 25 lingue; hai pertanto avuto modo di coltivare collaborazioni e amicizie in ogni parte del mondo. Un autore cosmopolita, a tutti gli effetti. Cos’è allora per te – nato durante l’occupazione sovietica, scolarizzato anche in russo, e poi testimone dell’indipendenza della Lituania – l’identità? Quanto ha a che fare con la lingua? Che relazione c’è tra particolare (valorizzazione delle diverse tradizioni culturali e linguistiche) e universale (conoscenza dell’altro e accesso al mondo)?
Ogni volta che ricevo dei complimenti per il mio lavoro, mi coglie come un piccolo sussulto: ma davvero stanno parlando di me? Mi ritengo una persona riservata e modesta che conduce una vita semplice. Non mi sento di aver compiuto qualcosa di particolare o di essere dotato di grandi talenti, semplicemente nella vita ho cercato sempre di fare bene cose che amo e di tirare fuori quello che avevo da dare a questo mestiere. Ora quando mi volto a guardare gli anni trascorsi a disegnare libri per l’infanzia, sento una profonda gratitudine verso il destino per questa occasione unica.
Il mio percorso creativo nell’editoria per l’infanzia si è svolto in anni turbolenti e drammatici per il mio paese. Sono stato testimone di grandi trasformazioni: uscire da un regime totalitario, segnato da privazioni, propaganda e censura, per entrare a far parte della famiglia delle democrazie europee aperte e libere. Nella deprimente epoca sovietica i libri per l’infanzia per me hanno rappresentato un piccolo mondo a parte, immune a tutte quelle assurdità ideologiche di cui ci nutrivano costantemente.
Mi ci tuffavo impaziente e nuotavo come un pesce nell’acqua, finalmente libero, nessuno poteva rubarmelo.
Sono contento di essere nato in questa terra, contemporaneamente mi sento però anche un cittadino del mondo, come una piccola tesserina in un grandissimo mosaico. Lavorando su un libro non cerco mai di sottolineare nessuno dei due sentimenti, nessuna appartenenza, solo di essere sincero al massimo, e quello che mi scorre nelle vene, tutte le esperienze vissute, si svelano da sole con naturalezza.
(traduzione dal lituano di Toma Gudelytė)