L’intervista a Brian Selznick, firmata da Martina Russo, è pubblicata su Andersen n. 372 – maggio 2020. Sostieni la rivista con un abbonamento!
A dicembre non si pensava certo che Più libri Più Liberi sarebbe stata una delle ultime fiere del libro per un tempo ad oggi indefinito. A saperlo, forse, avremmo guardato con un po’ più di nostalgia la Nuvola, con la consueta, ma più bonaria, perplessità le abbacinanti stanze gialle per le interviste, salutato con calore differente chi stava dietro gli stand, lamentandoci assai meno del peso delle borse e della classica stanchezza da fiera. Ma, come si suol dire, coi se e coi ma…
In ogni caso, non credo avrei potuto apprezzare di più l’incontro con Brian Selznick, autore e illustratore brillante, profondo conoscitore dei meccanismi narrativi e vivace sperimentatore, capace di concedersi il giusto tempo per ogni nuova creazione. Ne è venuta fuori una lunga chiacchierata sul potere emotivo della poesia, sulla funzione delle immagini e sulla capacità di parlare di sentimenti universali, attraverso ogni forma d’arte.
L’autore de La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, La Stanza delle meraviglie e Il tesoro dei Marvel (Mondadori) era in Italia per l’uscita de La quercia (Tunué, 2019), intensa raccolta di poesie di Walt Whitman illustrata per l’appunto da Selznick.
Una storia rocambolesca, quella de La quercia (titolo originale Live Oak, with Moss, Abrams Comic Arts) che raccoglie dodici componimenti, di colui che Ralph Waldo Emerson ha definito il “più straordinario esempio di spirito e saggezza che l’America abbia espresso”, mai pubblicati dallo stesso autore, forse per il loro carattere fortemente personale, intimista e riflessivo.
Si parla di passione, di sofferenza, di delusione e di amore omosessuale (ma, ancor più, universale). Un tema non propriamente consueto nel 1860.
Dal taccuino che raccoglieva queste poesie Whitman trasse trentatré componimenti, li editò e li inserì nella terza edizione del suo più noto Foglie d’erba. Tutti gli altri si mantennero sconosciuti fino al 1953, anno in cui furono scoperti da uno studente, per rimanere però pressoché ignoti agli studiosi e alla critica fino agli anni Novanta.
Per la prima volta accessibile ai lettori italiani, La quercia è il risultato della ricerca di Karen Karbiener – che firma la postfazione – e del lavoro visuale di Brian Selznick, che a questo libro è particolarmente legato.
Di certo una sfida nuova per l’illustratore newyorkese che si è avvicinato a questi testi e all’idea di illustrarli, anche grazie all’autore che considera il suo mentore, Maurice Sendak.
Lo ricorda lo stesso Selznick nella prefazione al libro: è stato proprio Sendak ad affermare: “Le poesie non si possono illustrare”. Una provocazione?
“Penso che il libro sia la risposta a questa domanda. Quando Sendak mi ha detto quelle parole, stava riflettendo sullo scopo dell’illustrazione: la cosa più importante per lui non era tanto illustrare un testo quanto illuminarlo, creare qualcosa di nuovo.
Farlo con la poesia è più complesso, perché questa non ha bisogno di immagini, ma è frutto di un rapporto diretto tra le parole e il lettore. L’illustrazione, rifletteva, rischierebbe di mettersi in mezzo.
Eppure, mentre lo diceva, stava pensando lui stesso di illustrare queste poesie, quindi sapevo avesse trovato uno spiraglio di possibilità per combinare poesia e immagini in un modo nuovo. D’altra parte era un grande ammiratore delle illustrazioni realizzate a corredo dei suoi componimenti da William Blake”.
Una sorta di passaggio di testimone, insomma. Ma, se Sendak cercava un incontro tra mondi apparentemente inconciliabili, Selznick ha trovato la sua terza via.
“Ricordando le sue parole, ho voluto usare le immagini come uno strumento per introdurre la poesia, non per illustrarla pedissequamente. L’idea era di servirmene come di una sorta di cornice, una lente, attraverso la quale poter leggere la poesia in una maniera differente. Spesso le persone sono intimidite dai testi poetici e ho pensato che un volume illustrato potesse essere un modo per vincere quell’istintivo scetticismo. Le immagini non ricalcano le parole, ma danno forma e colore a sentimenti e sensazioni suscitate dal testo. Funzionano quasi da supporto.
Il mio obiettivo è quello di trasmettere fiducia al lettore, in modo che da quelle immagini ne scaturiscano altre, personali”.
Rimane dunque più difficile illustrare un testo poetico rispetto a un romanzo?
“È diverso, per molti versi. Sono stato in grado di illustrare La quercia solo perché in precedenza avevo affrontato il lavoro creativo dietro a Hugo Cabret, La stanza delle meraviglie e Il tesoro dei Marvel e avevo riflettuto a lungo su come parole e immagini potessero combinarsi insieme. Al centro della mia ricerca c’è sempre questo rapporto, così come c’è sempre una riflessione sul modo in cui le illustrazioni fanno parte dell’esperienza di lettura e sull’impatto che queste possano avere sul lettore. In Hugo Cabret, ad esempio, le immagini sono pensate per riprodurre le atmosfere di un vecchio film, mentre ne La stanza delle meraviglie sono una finestra sulla vita delle persone sorde e su come appare loro il mondo in senso visivo, ne Il tesoro dei Marvel invece, creano un mondo di ricordi che diventa parte della storia stessa.
La principale differenza consiste proprio nel fatto che nei precedenti libri le immagini avevano una funzione specifica e ognuno, con un universo visivo differente, si ricollegava a una narrazione concreta. Con La quercia, però, non sono stato vincolato a una storia e ho avuto la libertà di creare associazioni tra le mie sensazioni e le immagini. Ne è venuto fuori un contesto dall’impronta fortemente onirica, che solo apparentemente segue una narrazione, ma in realtà è un susseguirsi di idee, di emozioni che vanno a creare un sogno”.
E allora, mettendo nell’opera così tanto di personale, emergono tecniche e forme fortemente riconoscibili dello stile dell’artista: dalle prospettive quasi cinematografiche (con lo zoom iniziale che conduce direttamente dentro questa “non-narrazione”), all’uso del bianco e del nero e la scelta di non illustrare direttamente il testo, ma di farlo precedere da una narrazione illustrata, mantenendo i due linguaggi separati.
“È un libro molto personale. Un libro a cui sono molto legato. Dentro a La quercia ci sono le emozioni che ho provato leggendo questi testi e quelle che ho provato nella mia vita – che molti di noi hanno provato – in termini di relazione, amore, perdita.
Volevo che tutti questi sentimenti personali venissero fuori nelle illustrazioni, e in effetti ci sono immagini che tornano, perché in fondo mi appartengono: c’è la luna, c’è il fuoco, c’è un incendio, che è simbolo di passione, ma anche potenza distruttiva, una distruzione da cui può venire fuori un nuovo inizio”.
La poesia di Walt Whitman, e in questo non fa eccezione La quercia, è permeata da una forza poetica intensa. Qui si racconta di un amore che prevarica le ambizioni, che supera per importanza ogni cosa. Sentimenti forti, scritti sì, alla soglia dei quarant’anni, ma che ben ritraggono anche l’impeto di un lettore adolescente. Inevitabile dunque chiedere a Selznick se immagina questo come un libro per giovani lettori.
“Penso che se lo avessi avuto tra le mani quando ero adolescente, questo libro avrebbe avuto un grandissimo impatto su di me. Sono cresciuto negli anni Settanta e non c’era alcun libro che affrontasse esplicitamente contenuti ‘queer’. Ora viviamo in un mondo completamente diverso e ci sono tantissimi libri meravigliosi che raccontano con spontaneità la quotidianità di giovani omosessuali. Non è sempre stato così.
Tra l’altro, rimanendo in argomento, devo dire che molti ragazzi mi hanno detto che anche Il tesoro dei Marvel ha avuto un certo impatto sulle loro vite perché hanno “imparato” che le persone omosessuali possono vivere una vita felice (anche se il libro è pervaso dalla tristezza) e che possono crescere e invecchiare, innamorarsi…
Tornando a La quercia, il fatto stesso che la raccolta abbia una storia così travagliata è significativo: trovo ci sia un interessante parallelismo tra il destino di questi componimenti – nascosti, sconosciuti per oltre cent’anni per poi essere riscoperti e liberati – e la vita di molte persone omosessuali che hanno vissuto in segreto la prima parte della loro esistenza e poi sono uscite alla scoperto”.
Un’attualità straordinaria, considerata l’epoca in cui Whitman ha vissuto.
“Sì, è incredibile quanto sia contemporaneo, nonostante queste poesie siano state scritte quasi centocinquanta anni fa. Whitman ancora ci parla perché in fondo la condizione umana non è cambiata, non sono cambiate le difficoltà di crescere, di vivere in una famiglia, di innamorarsi; sono cambiati i dettagli, è cambiata la società, sono mutate le possibilità, le ambizioni, ma le emozioni sono sempre le stesse.
Penso che ognuno di noi, a seconda del proprio vissuto, risponda alla poesia di Whitman in maniera molto personale e andando in giro a presentare il libro ho avuto modo di rendermene ulteriormente conto. L’intensità di queste poesie ha un che di universale e che parla anche agli adolescenti, toccando le sfere dell’amore, la passione, la delusione e la perdita. Partendo dalla sua personale esperienza, il poeta sembra dirci che, anche se sembra impossibile, anche se ne usciamo devastati, si può sopravvivere al dolore. La grandezza di Whitman sta proprio nel saper raccontare le proprie esperienze come se parlasse di quelle del lettore”.
Mettersi nei panni dell’altro, dunque, anche a un secolo e mezzo di distanza.
“C’è un altro aspetto a cui mi piace pensare quando immagino che questo libro possa arrivare nelle mani di un adolescente ed è il fatto che possa essere cresciuto con Hugo Cabret e con gli altri miei libri e che, vedendo La quercia, lo accolga con familiarità. Ovvio, nell’affrontare questo libro dovrà mettersi in gioco in modo diverso, gli verrà richiesto un approccio più astratto e di avvicinarsi alla ‘storia’ in una maniera più sofisticata, approfittando di uno spazio maggiore di interpretazione. Una bella sfida”.
Alle domande di rito, si sa, è difficile rinunciare, così, chiusa La quercia, la curiosità va ai prossimi lavori, a quelli in corso e ai progetti in cantiere.
“Al momento sto lavorando a un adattamento musicale di Hugo Cabret per il teatro, a Londra, con la regia di Christopher Wheeldon (vincitore di un Tony Award con An American in Paris); io mi sto occupando della sceneggiatura e dei testi delle canzoni insieme a Ryan Scott Oliver.
Contemporaneamente sto lavorando a un paio di film e finalmente… sto lavorando a un nuovo romanzo illustrato”.
Inutile nascondere l’entusiasmo.
“Ero molto preoccupato: ho avuto l’idea per questa storia circa cinque anni fa. Ma non riuscivo a capire come avrei fatto a realizzato. Di solito succede così: prima mi vengono in mente la trama e l’ambientazione, in seguito i protagonisti, poi le emozioni che guidano i personaggi e alla fine il modo in cui rendere funzionali le immagini. Non sempre, ma di solito va in questo modo.
Per cinque anni è rimasto tutto nella mia testa, non trovavo il meccanismo giusto per la parte visiva, e negli ultimi tempi avevo quasi pensato che questo sarebbe stato il mio primo libro senza illustrazioni. Beh, la mia editor non era molto contenta.
Tre settimane fa però ho avuto una buona idea. Almeno, credo lo sia, me lo saprete dire tra un paio d’anni”.
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