Ovunque lei sia, so che non approva. Niente compassione, rimpianto, celebrazione. Forse neppure tristezza, perché la tristezza è una malattia che ti fa guardare all’indietro. Non so dove sia Grazia, ma so che il suo corpo dorme adagiato nel suo studio, al posto di un piccolo divano del quale nessuno aveva mai veduto il colore perché sempre ricoperto fin sulle cuciture dei braccioli di disegni ad asciugare, appunti, ritagli di Corriere, libri su libri disposti in pile pericolanti. A guardarlo un tempo, dava a noi la speranza d’intuire quale fosse l’argomento del prossimo lavoro di Grazia, ma sbagliavamo sempre.
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Ora il divano attende d’essere accomodato al proprio posto e vuoto ci mostra la tela che lo ricopre, che è un tessuto a fiori. Logicamente, a fiori: avremmo potuto arrivarci anche da soli. La vita di Grazia era piena di fiori, ci sono fiori sulle copertine che spuntano dalla libreria nell’angolo dello studio, esposte di faccia quasi a volerle aiutare a sbocciare, fiori disegnati nei bozzetti, fiori a mazzi poggiati tra i piedini di Grazia coricata, fiori da erbario sul manifesto d’una vecchia mostra appeso al muro. «La vecchia mostra sono io», aveva scherzato un giorno Grazia anticipando la mia risata con la sua. Amava stare nell’ombra, non farsi vedere, mai farsi fotografare. Ed era così bella. Grazia Nidasio riposa dove non a ve va mai riposato. Nel suo studio, circondata da ciò che le era rimasto da amare in vita, i suoi disegni e suo marito. A due passi da lei c’è il suo tavolo da lavoro coi pastelli, i gessetti, le matite, un ultimo disegno incompiuto, le cassette che registrava dalla radio per riascoltarsi certi programmi e prepararsi a illustrare, e ogni cosa è sorprendentemente in ordine, la frenesia quotidiana ha lasciato un’eco come accade a teatro quando l’orchestra si leva in piedi all’unisono per ricevere l’applauso dopo l’ultima nota.
A guardare il temperino, pare sia in attesa di qualcosa. Anzi, ogni oggetto su quel tavolo sembra pieno di desiderio, come quando è imminente l’inizio di un lavoro. C’è il medesimo chiarore che sfiora il mondo poco prima dell’alba, in quel tempo che profuma di ciò che accadrà e non più di quel che è accaduto. Come Grazia.
A Grazia piaceva quella specie di attesa. La bellezza di cominciare qualcosa e di portarla avanti, e ogni volta, a ogni pagina, sentire batter dentro la voglia di ricominciarla, discuterla, ritornare di poco sui propri passi per stupirsi ancora. Grazia sapeva mantenere dentro di sé l’incoscienza del primo istante e insieme la consapevolezza dell’ultimo: era la sua grandezza, se vogliamo misurarla. Era la sua magia: sapeva comprimere il tempo. Quando si lavorava, era come se mesi e ore svanissero.
Esisteva lo spazio, quello sì, le misure del volume, i bordi, il bianco, la disposizione del testo in quel vuoto, lo spessore della carta, e stavolta facciamolo orizzontale, e guarda quest’album inglese di cinquant’anni fa, che bel formato. L’arco di tempo tra il seme piantato e il fiore sbocciato si comprime vano però in un unico istante, uno schiocco di dita della fantasia. Non esistevano vecchiaia e gioventù, un prima e un dopo: era tutto un eterno presente dal gusto nuovo, era tutto un trova re soluzioni, ragionare sulla realtà, prendersi gioco delle pomposità, dei potenti d’ogni genere. Grazia amava i giovani e li valorizzava per il medesimo motivo, li trattava da grandi, e tra i grandi come lei Grazia era in questo un’assoluta rarità: pensava a una, due generazioni avanti. Così come un tempo a ve va pensato a Tiziano Sclavi e a Ferruccio De Bortoli, nel tempo era stato un susseguirsi di fiducia per nuove persone, altre facce, stili. Era aperta al mondo, alla pubblicità, all’animazione, al futuro, con una passione densa d’esperienza e di riflessione. Mentre il suo studio, quella piccola stanza dalla luce ottocentesca, rimaneva apparentemente uguale a se stesso, Grazia continuava a proiettarsi oltre: la leggerezza del suo segno e la classe dei suoi colori sono solo aspetti della sua forza. Lo sa bene Ivan Giovannucci, che le ha fatto da agente negli ultimi anni e che ora non si dà pace. Nello studio di Grazia accadevano le cose, e perfino i libri non sfuggivano alla magia. Lei li preparava e costruiva con dedizione e precisione davvero certosina, non per nulla il suo studio è a due passi dalla Certosa di Pavia. Ma i libri da lei non solo nascevano, non solo si preparavano, non solo si costruivano: questi son verbi un po’ dozzinali. Lì i libri accadevano.
A guardarla ora, quella stanza, la si sente svuotata come il corpo di Grazia che riposa. Così come riposa il suo giardino segreto, là dietro dove i colori dei fiori accoglievano brevi passeggiate, amorevoli cure, giochi infantili. Riposa, il giardino, è dicembre, l’erba adagiata è del colore della nebbia che vien su dai campi intorno alla Certosa. Ma un giorno si sveglierà, ricomincerà primavera, e quel giorno scoprirà che Grazia quest’altr’anno non verrà a potare , a camminare, a piantumare, a chiacchierare con le foglie. Ovunque lei sia, so che non approva questi paroloni su di lei, ma i paroloni, Grazia, sono quelli che aiutano meglio a lenire il dolore. Con le parole semplici ci si commuove, con le parole buone ci si riempie di dolore, perché erano quelle che pronunciavamo nei nostri incontri e non è giusto trascriverle. Qui la buttiamo sui pensieri impegnativi, che van bene come maschere per non mostrare i nostri occhi e quello che provano e continueranno a provare.
Grazia Nidasio non c’è più. Nello scorrere degli anni che passano, delle malattie che vengono, che si quietano e ricompaiono e infine trafiggono, non ci eravamo mai messi di fronte a questo pensiero: che sarebbe venuto un giorno senza Grazia Nidasio.
Eccolo qui. Nella notte di vigilia del Santo Natale, com’era accaduto a Gualtiero Schiaffino che ci aveva lasciati proprio il 25 dicembre, e a James Brown e perfino a Charlie Chaplin diversi anni prima. Restano i suoi disegni a farle compagnia mentre riposa, e a noi faranno compagnia i suoi libri, ancora per un po’. Ma mi sembra di sentirti, Grazia: «I libri non fanno compagnia». E avresti ragione. Ci farà compagnia la voglia di fare, di far accadere altri libri, il desiderio di tramutare tutto il tempo in un lungo, meraviglioso presente. E sarà un presente di colori, e sarà un presente felice, Grazia, perché tu in quel presente ci sarai.