[da: ANDERSEN 271 – giugno 2010] – L’articolo di Walter Fochesato in occasione del Premio Andersen assegnato a Gek Tessaro come miglior autore completo, con la seguente motivazione: “Per una ormai raggiunta, compiuta e convincente maturità artistica. Per la sapienza e la passione con cui sa continuamente confrontarsi con strumenti espressivi diversi, percorrendo coraggiosamente, e sempre all’insegna della narrazione, strade che vanno dal teatro all’illustrazione.”
Generoso e versatile, rigoroso e attento nel proprio lavoro ma al tempo stesso felicemente imprevedibile, portato naturalmente al racconto che declina nelle forme e nei modi più diversi. Queste sono alcune delle qualità di Gek Tessaro, infatti, per lui il termine “autore completo” non significa soltanto che privilegia illustrare e scrivere i suoi albi. No, c’è ben altro. Penso intanto ad un aspetto magari poco noto e che io invece giudico centrale, oserei dire decisivo, capace forse di spiegare molte altre cose del suo agire. Parto dalla sua grande
umanità, dall’essere giudice acuto e quando occorre impietoso del mondo che ci circonda. Il suo è uno sguardo attento, ora pietoso ora divergente e acuminato, dell’Italia di questi anni, che ha girato e gira in lungo e in largo.
In occasione di un recente incontro alla Festa del Libro di Zafferana Etnea, confesso di aver riso fino alle lacrime (ma anche riflettuto) ascoltando i suoi paradossali, ma verissimi, racconti di una non lontana e duratura esperienza di postino nei territori della provincia veronese. Ascoltando i suoi incontri quasi surreali, si capisce come tutta questa esperienza, di piccole avventure e disavventure, sia pronta poi a passare, distillata, nei suoi libri e nei suoi spettacoli. Perché, e riprendo le osservazioni che facevo poco sopra, Tessaro è in primis un narratore, un instancabile narratore. Con la voce, con la parola scritta, con le figure, con le mani (le ben note Priscilla e Gurdulù) e con la musica e la lavagna luminosa di quando sale sul palco e affascina, incanta piccoli e grandi, disegnando a rovescio, sciorinando a cascata, lì sul momento, sorprese e mirabilia, fra fogli di acetato e sagome in metallo, boccette e pennelli. Concludo riportando gran parte di un mio rapido intervento su di lui pubblicato nel bellissimo ‘catalogo’ edito da Artebambini lo scorso anno (Priscilla e Gurdulù. Lo sguardo delle mani).
“Visi e schiene, corpi nudi e mani, alberi e foglie, pesci e animali di ogni genere, a partire dagli amatissimi cavalli. E, ancora: navi e barche, gru e ciminiere, chiese e torri, piazze e strade. Un campionario sterminato, affollato e tumultuoso.
Gek è, infatti, un disegnatore onnivoro e bulimico. Ha sempre con sé una robusta agenda dove, con instancabile fervore, schizza, annota, appunta, coglie frammenti di vita. […] Le sue sono osservazioni talora velocissime, quasi frenetiche altre volte, e questo mi sembra di coglierlo soprattutto nei paesaggi, diventano – al di là dei tempi di esecuzioni – più pacate e meditate, anche se percorse da fremiti espressionistici. Nel libro ho visto, talora con commozione, spuntare angoli che mi sono assai cari. Qui il suo assillo e il suo cruccio sembrano essere non tanto quelli della denuncia quanto del cogliere e del registrare pervicacemente quel poco, o tanto, che resiste ai processi di assimilazione, alla distruzione delle identità, quelle vere, alla diffusione incontrollata dei ‘nonluoghi’. […] Ecco, i suoi disegni, sia che fissino un volto o diano conto di un frammento di città, sia che rendano con pochi e nervosi tratti le fronde e i rami di castagno o il frullo d’ali un uccello hanno sempre una doppia valenza che credo ben valga la pena di mettere in luce. Da un lato, quasi per incanto si dimostrano capaci di cogliere l’essenza di quanto rappresentato, di andare al centro o, ancor meglio, al cuore di ciò che vien messo in scena. Dall’altro sono un inno, esplicito, alla diversità, alla ricchezza e alla molteplicità delle cose. E questo in Gek lo si coglie assai bene anche nella stupefacente bravura e nella cura estrema che pone alle tecniche. Capace di transitare dal bianco e nero a collage festosi e rutilanti, ariosi e sapidi che spesso si aprono alla luce dell’incanto e della poesia. Come nello spettacolo di un vecchio circo”.