[da Andersen 305 – settembre 2013] Origini irlandesi, base londinese, viaggi asiatici, impegno sociale, curiosità per le culture e le tradizioni grafiche e pittoriche: ecco i segreti all’origine del successo di un illustratore dal grande talento.
Di origine irlandese Haughton vive e lavora a Londra. Oh-Oh! è stato nel 2010 il suo libro d’esordio. Un esordio col botto, potremmo dire, dato che, edito da Walker Books, è stato fino ad oggi tradotto in diciannove lingue e ha vinto ben 10 premi in 8 diversi paesi, e forse il dato non è completo. A Bit Lost è il titolo originale (potremmo tradurlo con “Un po’ perso”, muovendo dal mio scarsissimo inglese). Certo che il titolo italiano (scelto da Lapis che lo ha pubblicato nel 2012) è stato da tal punto di vista geniale e accattivante, proprio perché sottolinea un dato fondante e decisivo dell’albo, ma su questo tornerò più avanti.
Nel marzo del 2012 è intanto uscito Oh No, George!, che per adesso ha ottenuto la nomination in cinque premi fra cui la prestigiosa Greenaway Medal e il Premio Roald Dahl e che uscirà in Italia ai primi di ottobre 2013 sempre per le edizioni Lapis. Nel 2011, giusto per completare qualche succinta nota bibliografica, insieme ad Akshay Sthapit ha fondato Node, una società di commercio equo e solidale per il Nepal. Una struttura no-profit che mira a coinvolgere i migliori illustratori e designer nella produzione di oggetti di alta qualità per favorire in modo cooperativo le economie più svantaggiate. Per la loro prima mostra i due promotori hanno chiesto a diciotto artisti il disegno per un tappeto di 2 metri quadrati. Hanno aderito autori ben noti come Jon Klassen, Beatrice Alemagna, Geoff McFetridge e Donna Wilson e i loro lavori sono stati esposti al Design Museum di Londra. Orbene quest’ultima annotazione non è una mera curiosità ma svela anche un altro aspetto di questo designer e illustratore di grande talento: la passione per il viaggio (a lungo è stato in Asia) e di conseguenza l’interesse verso il mondo delle arti orientali. Tanto che non sarebbe difficile trovare nei suoi disegni echi provenienti soprattutto da certa pittura tradizionale indiana. Sono però soltanto, a parer mio, accenni, suggestioni. Giacché la sua arte invece è ben calata nella grafica odierna e ci appare quanto mai moderna e viva. Nuova, pur nella già colta sapienza di un ancor giovane illustratore e provetto designer. E, da tal punto di vista, Oh-Oh! si caratterizza soprattutto come un’opera di sublime sapienza tipografica. A partire dal font creato per l’occasione da Haughton e che si configura come una intelligente imitazione di uno script manuale e che si rapporta alla perfezione con le tavole. Quest’ultime poi seguono il ritmo della storia alternando pieni e vuoti, tavole compatte e personaggi che invece si muovono sul fondo bianco, pause e sorprese, accelerazioni e anticipazioni. Senza dimenticare l’escamotage della mezza pagina iniziale. La cosa non è nuova ma qui ha proprio il compito di introdurci alla storia e di creare una prima situazione di attesa e di sconcerto, quasi di timore per quel cucciolo di gufo che casca giù dall’albero dove sta dormendo con la mamma. E la storiella è proprio quella di una piccola quête, di una ricerca a lieto fine. Tema non nuovo questo ché di analoghi albi ve ne sono e qui mi basterà citare il Dov’è la mia mamma?, di John Donaldson con le vivacissime e ridenti immagini di Axel Scheffler, pubblicato da Einaudi Ragazzi; a perdersi qui è una scimmiotta e il compito di rintracciare il genitore spetta ad una farfalla. Ovviamente, aggiungo l’ineffabile e fortunatissimo Tararì Tararera di Emanuela Bussolati, per Carthusia, dove a perdersi è invece Piripù Bibi. Sono sempre opere importanti e positive poiché attraverso il fascino delle figure e di personaggi tratti dal mondo animale ci raccontano dell’ambivalente e ostinata ricerca che il bambino compie per esplorare e nominare il mondo, per emanciparsi pian piano, passo dopo passo dalla struttura familiare. Tutto ciò, ci dicono però queste narrazioni, ha dei costi, comporta la paura, il timore dell’abbandono, la necessità sempre e di comunque di poter tornare a casa.
Orbene, come sanno i nostri abituali lettori, il picture book ha vinto il Premio Andersen come miglior libro per la fascia 0/6, ma ha poi sbaragliato il campo conquistando, nettamente, il Superpremio di quest’anno. A suo tempo era stato ben recensito da Anselmo Roveda sul n. 297 dello scorso ottobre. Perciò poco o nulla dirò sull’impagabile e stralunato, ma generoso e compitissimo scoiattolo che aiuta Gufetto o sulla rana acuta e imperturbabile. Piuttosto, in un volume che mi sembra perfetto da leggere insieme ad un bambino (e fatalmente in modo ripetuto), va sottolineato il finale ironico e sapido con il piccolo protagonista che sta nuovamente per cascare giù. Ecco, dopo aver mangiato assieme alla mamma e ai due salvatori (“Con piacere” risponde lo Scoiattolo. “Adoriamo i biscotti”) l’avventura ricomincia. In un tramonto sempre più infuocato e per la gioia del piccolo lettore, che tenderà ad identificarsi con l’improvvido e inesperto Gufetto. Il disegno di Haughton è elementare, sobrio, tendente ad una marcata ed elegante stilizzazione e ad una “morbida” geometrizzazione delle forme. “Morbida”, non casualmente lo scrivo fra virgolette, perché la ricchezza coloristica tende quasi a muovere, a sgranare e far vibrare una linea che è invece ferma e nitida e che – in altri lavori – diventa quasi, nel trattamento degli interni, una sorta di pittura metafisica a misura d’infanzia. Poi una costante misura buffa ed un candore intessuto di lievi ironie e spiazzamenti e piccoli accenni fanno il resto. Così come sono da rimarcare le risentite deformazioni, legate peraltro strettamente ai ritmi della narrazione con l’allungarsi degli arti di Scoiattolo e Rana. Magnifica è, ad esempio, la soluzione adottata nel cuore della storia. Sulla sinistra una tavola a piena pagina con un cielo verde limone, in basso, a silhouettes, Rana, Gufetto e Scoiattolo che corrono, veloci e determinati, verso una forma ancora indistinta e il tutto su di un fondo indaco e viola blu, mentre la foresta da cui paiono appena usciti è un inserto squillante di toni variamente aranciati. A destra, invece, una rappresentazione a dir poco sobria: sotto il protagonista curioso e in trepida attesa, mentre gli altri due, allungano a dismisura il “braccio” e chiedono: “È questa la tua mamma?” . Si gira, con effetto da cinema d’animazione, ed ecco finalmente comparire la mamma, agognante e piangente. In un coup de théâtre di grande ed emozionante effetto.
Il segno di Haughton è fortemente originale, forse si potrebbero trovare alcune consonanze con Oliver Jeffers o, ancora più alla lontana, con Kitty Crowther. Ma a livello di parentele è meglio fermarsi qui. Resta da dire, e non è poco, del colore. Deciso, intenso e al tempo stesso caldo, non disdegna inaspettati preziosismi. Un trionfo, fin dai bellissimi risguardi di copertina, di arancio, corallo, vermiglio, scarlatto, geranio, lilla, viola e rosa (di Parma), turchese. Che, poi, insieme al giallo squillante del fondino tutti li ritroviamo, insieme ai protagonisti dell’albo, nella magnifica copertina che Chris ci regala per questo numero d’autunno, non a caso.
Questo articolo è apparso su Andersen 305 (settembre 2013) – scopri il resto del numero qui.
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