[adattamento dall’articolo di Anselmo Roveda, “C’era una volta… Babbo Natale”, pubblicato su Andersen n.176 – dicembre 2001]
Il san Nicola dell’immaginario popolare medioevale è sicuramente il parente più prossimo del moderno Babbo Natale o più seriamente, ne rappresenta il calco simbolico e in parte iconografico. Nicola, vescovo di Myra in Anatolia, visse nel IV secolo e sebbene il suo culto possa essere considerato universale sulla vita del santo non si sa in realtà quasi nulla. Il culto trovò alimento in una agiografia redatta presumibilmente nel IX secolo. La fama di santo taumaturgo è, come scrive David Hugh Farmer (‘The Oxford Dictionary of Saints’, 1978-1987), “al tempo la causa e l’effetto della molteplicità di luoghi e genti che rivendicano la sua protezione: dalla Russia all’Inghilterra, dai bambini alle ragazze da marito, dai mercanti ai farmacisti ai profumieri, san Nicola risulta essere uno dei santi più invocati”. E’ inoltre patrono della Grecia, di Mosca, di Bari, di svariate marinerie, dei prigionieri, dei prestasoldi su pegno, dei fornai e dei lupi! Per uno del quale non si sa molto, non male. Su come abbia iniziato a portar doni ai bambini per le feste d’inverno, la sua ricorrenza cade il 6 dicembre, ci sono varie ipotesi. Dalla banale ‘in quanto protettore dei bambini chi meglio di lui!’, alla fantasiosa leggenda – ripresa anche da Dante nel Purgatorio (XX, 31-33) – che vuole san Nicola depositare in incognito e attraverso finestre e camino doni in denaro per tre ragazze, figlie di un nobiluomo caduto in miseria, al fine d’evitare loro di finire prostitute. Di qui i versi danteschi: “Esso parlava ancor della larghezza/ che fece Niccolò alle pulcelle,/ per condurre ad onor lor giovinezza”.
Quale che sia il perché san Nicola diviene portatore di doni e con il passare del tempo nell’immaginario popolare, soprattutto nel nord Europa, gli si mette a destriero un asino o un cavallo bianco e gli si affianca un aiutante a guisa di folletto. Aiutante noto come Pietro il Nero e nei tratti non dissimile dal nostro Babau o, giustappunto, Uomo nero. Il tutto un tantino bizzarro invero. Bisogna considerare però che i santi, nel mondo anglosassone, già in piena riforma protestante, non erano più in auge ed antichi retaggi pagani avevano nuovamente modo di esprimersi. Fatto sta che santo e aiutante – che finiranno, qualche secolo dopo, per laicizzarsi e fondersi nella nostra figura di Babbo Natale – nel 1626 s’apprestano a sbarcare in America. Lo sbarco avviene a seguito dei coloni olandesi che fondano Nuova Amsterdam. Nuova Amsterdam diviene da lì a poco New York e l’olandese Sinter Claes o Klaas diventa sulla bocca dei coloni britannici Santa Claus. Babbo Natale è nato. Ma non ha ancora la faccia che conosciamo, lo si continua a rappresentare come un vescovo cattolico eccentrico e con un aiutante che diventerà presto nero non solo di nome ma anche di pelle.
Passano gli anni, i festeggiamenti per Santa Claus continuano in sordina, poi finalmente il nuovo clima rivoluzionario – francese prima, industriale dopo – laicizza la società e libera Santa Claus dal suo abito vescovile. Un bel contributo al restyling di Santa Claus lo offre Clement C. Moore nel 1823 con la sua poesia ‘A visit from Saint Nicholas’. Qui il protagonista è descritto come una sorta di elfo, vestito di pelliccia e che viaggia su di una slitta trainata da otto renne, in sostituzione del tradizionale cavallo bianco. Successivamente illustra la poesia Boyd, che rappresenta Santa Claus come un vecchio, minuto, arcigno ma bonario olandese con tanto di pipa. Ma le vere svolte per il look di Babbo Natale sono ancora da venire. La prima avviene intorno al 1860 quando il famoso illustratore americano d’origine bavarese Thomas Nast disegna una serie di tavole dedicate al personaggio. Nast tratteggia un Santa Claus, che pur piccolo e un po’ elfo scorbutico, inizia a vestire e ad esser corredato di tutti quei ninnoli che connoteranno lo stile del personaggio che oggi conosciamo. Negli anni Santa Claus s’impone negli Stati Uniti e, ai fini pubblicitari, si addolcisce nei tratti rispetto all’elfo di Nast.
Ultima e definitiva svolta nel look avviene nel 1931 quando la Coca Cola sceglie Babbo Natale come testimonial. L’illustratore incaricato, lo svedese Haddon Sundblom, opta per un aziendale bianco e rosso, accantonando le opzioni di color oro, verde e pelliccia che fino allora erano coesistite nelle rappresentazioni di Babbo Natale. Santa Claus poi non può essere neppur in un tratteggio un elfo briccone e allora diventa un anziano pacione e paciocco, capace di rassicurare le famiglie e i consumatori tutti. E con la fine della seconda guerra mondiale l’America a stelle e strisce conquista definitivamente l’immaginario occidentale e tra i tanti miti – sigarette, cinema e cola appunto – s’impone anche il bianco e rosso, paffuto Babbo Natale che conosciamo.
[Illustrazione tratta da “Dizionario di Babbo Natale” di Grégoire Solotareff, Fabbri]
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