Questo articolo, nato per ricordare Andrew Clements, autore di Drilla, è pubblicato su Andersen n. 369. Sostieni la rivista con un abbonamento!
“Dobbiamo pubblicare più libri di avventura, più collane e più storie di scuola.” Così la madre di Natalie, editor di una casa editrice per ragazzi, riassume sei ore di riunione con il marketing nel romanzo The School Story (2001, tradotto come Una storia di scuola da Beatrice Masini ne I delfini, Fabbri Editori, oggi riedito da BUR). Dopo poche righe troviamo anche una definizione: “Una storia di scuola è proprio quello che dicono le parole: un romanzo breve che parla di bambini e di cose che succedono soprattutto a scuola.” Andrew Clements (1949-2019), prolifico autore statunitense scomparso lo scorso novembre, traccia così, in un gioco metaletterario dove si cita anche Drilla a mo’ di esempio, i confini entro cui si muove come scrittore.
Drilla, dove si narra la storia di Nick Allen e della sua parola inventata, è il romanzo d’esordio dell’autore (arrivato dopo alcuni albi illustrati) e coincide con il suo maggior successo: è un longseller negli Stati Uniti e anche qui da noi, ristampato da oltre vent’anni (nel box ne racconta l’arrivo in Italia Beatrice Masini, che ne è stata editor e traduttrice). Del romanzo si riparlò alcuni anni fa in occasione di un fatto di cronaca, l’invenzione di “petaloso” da parte di Matteo in una scuola in provincia di Ferrara. L’insegnante, colpita dall’errore creativo dell’alunno, scrisse una lettera all’Accademia della Crusca, la cui redazione di Consulenza Linguistica rispose che la parola poteva funzionare, ma che per diventare una parola “vera” doveva essere utilizzata da tantissime persone. Nella lettera si consigliava di leggere in classe proprio il romanzo di Clements, dove il processo per cui una parola nuova entra nei dizionari è descritto in dettaglio.
In termini di vendite e risonanza mediatica, il successo di Drilla non si è più ripetuto – non con la stessa forza – ma sono tanti i romanzi dell’autore che meritano di essere letti, “storie di scuola” che mantengono le aspettative create dal primo titolo. Hanno infatti lo stesso ritmo e la stessa densità narrativa, gli stessi personaggi caparbi e pieni di inventiva, approfondiscono con precisione ogni argomento trattato, e mettono in scena ipotesi tanto realistiche quanto sorprendenti.
La scuola (con ironia)
La scelta dell’ambientazione scolastica non è casuale, e faceva già capolino nei primi albi illustrati (Billy and the Bad Teacher, 1992) di Andrew Clements, autore che ha dedicato tutta la sua opera a narrare il mondo dei bambini. Anche per questa ragione lo avremmo intervistato volentieri al Festivaletteratura di Mantova, dove avevamo fissato un incontro lo scorso anno, saltato a pochi giorni dall’evento. La sua voce – la sua attenzione per l’infanzia e la capacità di raccontarla in un contesto quotidiano – sarebbe stato un contributo prezioso al discorso intrapreso dalla nostra rivista con Visioni d’infanzia (speciale a cura di Anselmo Roveda, Andersen n. 350). Una riflessione sempre aperta, e in continuo divenire, perché ci porta al cuore di cosa significhi scrivere per ragazzi.
Ma torniamo alla scuola, fil rouge che attraversa tutta l’opera di Clements, e che l’autore descrive con grande sensibilità. L’uso (frequente anche se non esclusivo) della terza persona gli permette di muovere liberamente la macchina da presa della scrittura, allargando il campo per raccontare situazioni ricorrenti e collettive, dal suono della campanella alla pausa pranzo in sala mensa. Le storie proposte da Clements hanno quasi sempre una dimensione corale, dove le scelte dei singoli non sono mai isolate ma hanno conseguenze sulla collettività, perché è questo – accanto alle lezioni di grammatica, storia e geografia – che s’impara sui banchi di scuola. Il pronome io diventa noi, ci sono amicizie da difendere o da mettere in discussione, la competizione e la solidarietà, il rapporto con gli insegnanti e i genitori. Il tutto accompagnato da un lieve umorismo, “l’elegante leggerezza” di cui parla Antonio Faeti nella postfazione a Drilla, una caratteristica che rende indimenticabili i personaggi dell’autore, non solo i protagonisti delle vicende ma tutti quelli che ne attraversano le pagine.
Nei romanzi di Clements progetti e compiti a casa non sono mai fini a se stessi: la scuola diventa il mondo, uno spazio di sperimentazione, dove però non c’è nulla di finto o simulato: tutto accade davvero. Le parole inventate entrano nei dizionari e finiscono stampate sulle magliette, i romanzi scritti da una ragazza di undici anni vengono pubblicati da una vera casa editrice (Una storia di scuola), un articolo di giornale può avere conseguenze imprevedibili e difficili da contrastare (Il giornale di Landry); i bottoni ritrovati in un vecchio mulino possono dare vita a una moda che sfugge a ogni controllo (La mia migliore peggiore amica). A livello narrativo Clements dimostra di non aver bisogno di altri luoghi: può raccontare tutto ciò che desidera senza uscire dal portone d’ingresso della scuola.
Le idee dei personaggi
Ma se la scuola è l’ambientazione privilegiata dall’autore, il vero motore narrativo dei romanzi di Andrew Clements va cercato nell’intraprendenza dei suoi personaggi, nella loro voglia di giocare e di trasformare il gioco in qualcosa di serio. È piuttosto frequente, nei racconti di Clements, arrivare al momento in cui scatta la scintilla. Nella “mente acerba ma creativa” di Dave si accende una lampadina quando ne Il gioco del silenzio decide di proporre una gara ai suoi compagni di classe per scoprire chi, tra maschi e femmine, riesce a tacere più a lungo. Nick sta lavorando a una noiosa relazione in Drilla, quando all’improvviso “gli venne un’idea che lo fece sorridere”: è la miccia da cui si accende la parola nuova (frindle/drilla). E poi c’è lo “shock” che prova Ray in Uno per due quando si trova in una scuola nuova senza il gemello Jay (a casa malato): decide così che sarebbe molto divertente se provassero a fingersi una persona soltanto, frequentando le lezioni a giorni alterni.
Da una scintilla può divampare un incendio, ed è così che succede con le idee dei personaggi di Clements. La trama prende forma insieme ai piani, audaci e creativi, studiati dai protagonisti per concretizzare l’intuizione iniziale, con tutte le conseguenze del caso, nel rapporto con gli amici ma anche con gli adulti di riferimento.
Gli adulti
Altra caratteristica saliente dei romanzi di Andrew Clements è infatti l’importanza data ai personaggi adulti. Non capita spesso nei libri per ragazzi (a questo proposito si potrebbe citare la Murail) che genitori e insegnanti vengano tratteggiati con la cura che è riservata loro dall’autore di Drilla, che talvolta lascia persino l’incipit ai personaggi adulti, rimandando la presentazione del bambino protagonista a un capitolo successivo (Una settimana nei boschi). Insieme a Clements i bambini scoprono la complessità degli adulti che li circondano, possono seguirli fuori da scuola, entrare nelle loro case, scoprirne le debolezze e ascoltarne i dubbi. Sono insegnanti insicuri (come Miss Clayton in Una storia di scuola), adulti che possono sbagliarsi (come l’insegnante di Una settimana nei boschi) o che affrontano il dolore o la solitudine (come il nonno di Grace ne La mia migliore peggiore amica), ma sono aperti al dialogo, si prestano al gioco e riconoscono la creatività di bambini e ragazzi. Ragazzi che spesso, anche quando sembrano occuparsi d’altro, stanno in qualche modo affrontando il loro rapporto con gli adulti: Una storia di scuola racconta la pubblicazione di un romanzo, ma al centro del racconto ci sono la relazione con la madre e la scomparsa improvvisa del padre; Drilla narra di una parola inventata ma anche, e soprattutto, del rapporto che si instaura tra Nick e la sua insegnante; e ne La mia migliore peggiore amica ha grande importanza la relazione con il nonno.
Libri e scrittura
La scuola, l’amicizia, la creatività e l’intraprendenza, il confronto con la fragilità (ma anche la saggezza) del mondo adulto: nei romanzi di Clements c’è tutto questo, sempre accompagnato da una forte curiosità per il mondo. Curiosità che spesso si riflette nell’attenzione riservata ai libri, alla lettura (di romanzi e dizionari) e alla scrittura (di storie e articoli di giornale). “Tutti i libri per ragazzi dovrebbero possedere la splendida risorsa che riempie tante pagine di questo romanzo” scriveva Antonio Faeti nella postfazione a Una settimana nei boschi, “tutti dovrebbero richiamare altri libri, aiutare, quasi costringere a pensare a un’ideale biblioteca.” Succede nel romanzo citato, dove il protagonista legge i racconti di Jack London, ma anche ne Il club dei perdenti, dove incontriamo tantissimi titoli, da La fonte magica ai racconti di Ray Bradbury, perché Mark fonda un club per poter leggere a scuola senza essere disturbato (ma scopre che la lettura può essere un’attività profondamente sociale). E poi ci sono la scrittura giornalistica ne Il giornale di Landry e quella narrativa in Una storia di scuola. Non abbiamo modo di scoprire, purtroppo, il libro che Andrew Clements avrebbe portato a Mantova per lo scatto di Leggevo che ero – il romanzo o albo illustrato che avrebbe scelto per raccontare il suo amore per la lettura – ma leggendo dal suo sito internet possiamo ipotizzare che avrebbe scelto La tela di Carlotta di E.B. White (citato anche ne Il club dei perdenti) o The Sailor Dog di Margaret Wise Brown. Ci sono domande, come questa, che non possiamo più rivolgergli, ma in Italia molti suoi romanzi non sono ancora arrivati, e qualche titolo attende di tornare a catalogo: come lettori, oltre a condividere e proporre i titoli che già conosciamo, possiamo dunque sperare che ci attendano presto nuove letture.
[Quest’articolo è uscito su Andersen n. 369 (gennaio-febbraio 2020): ad accompagnare il pezzo anche le testimonianze di Beatrice Masini, traduttrice italiana di Clements, e di Brian Selznick, illustratore di Drilla e di molti suoi libri].
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