[questo articolo è stato pubblicato su Andersen n. 260 (giugno 2009) in occasione dell’assegnazione del Premio Andersen come miglior illustratore ad Alessandro Sanna, con la motivazione: “Per la forte personalità di un artista colto e curioso, sperimentatore inesausto e narratore intenso e vibrante. Per un segno arioso ed elegante, riassuntivo e brioso. Per la capacità di creare un costante e fitto rapporto dialettico fra il testo e le figure”.] Per sostenere il lavoro della rivista, abbonati subito.
Nel novembre del 2005 Sanna disegnò la copertina per il numero 219 di Andersen. Mentre l’anno dopo, con Hai mai visto Mondrian? (Artebambini) vinse il nostro premio per il “Miglior libro fatto ad arte”. Da allora si sono aggiunti molti altri libri (anche in qualità di autore completo) che hanno confermato appieno le sue qualità. Colpiscono soprattutto due elementi. In primis, il costante e alto livello del suo operare. Quindi una sempre più marcata versatilità, un intervenire in campi nuovi, un confrontarsi consapevole con nuove sfide. Una versatilità che non andrà certo intesa o declinata come adattabilità o ecletticità, quanto come agilità, come capacità di chi “è atto a studi diversi, che sa occuparsi, con abilità e competenza di cose diverse”, per rifarsi al senso che ne dava Giorgio Vasari (1511-1574), pittore, architetto e soprattutto autore delle celebri Vite.
Scrivo questo perché fra il 2007 e il 2008 Sanna è felicemente approdato alla graphic novel e con Leopoldo Bloom Editore ha pubblicato dapprima Quel diavolo di Nuvolari e quindi Il Bosco (ora edito da Nuages, 2017, NdR). Ed è proprio di questa produzione, forse meno nota ai lettori di Andersen, che vorrei parlare mentre su altri suoi lavori ci siamo già soffermati, da Ciao (su testo di Alfredo Stoppa, Falzea, 2007) alla La favola del nonno di Beppe Fenoglio (Einaudi, 2008), dal rodariano Inventare i numeri per Emme Edizioni al sorprendente Mostra di pittura (Corraini, 2007).
Parto dal volume dedicato al mitico “mantovano volante”, una figura che, pur scomparsa nel 1953, continua ad esercitare un forte fascino per la sua umanità e per le sue imprese da pilota spericolato e intelligente. Qui l’eccellente sceneggiatura è di Davide Bregola e l’incontro fra parole e segni è quanto mai forte e dovizioso di suggestioni. Al centro c’è la vittoria al Gran Premio di Germania del 1935, la narrazione, però, conosce continui e ben scanditi sussulti, saltabecca avanti e indietro, un episodio ne attira un altro. C’è un gusto narrativo antico, padano, fatto di bagliori e di ombre: come nel narrare attorno ad un fumoso cammino o nella veglia in stalla, vicino alle bestie. Ed è qui che Sanna esplora tutte le infinite potenzialità narrative ed emozionali del bianco e nero, il suo farsi “colore” a tutto tondo. Vuoi nel paziente e ribadito reticolo di tratti, vuoi nelle forme talvolta appena accennate ma ossimoricamente nette e definite. Il racconto grafico di Sanna è rapido, incalzante, mi vien da dire ventoso nel fraseggio delle chine or più marcate or meno. Si respira un’aria buona che ricorda (e forse esagero per entusiasmo) un Attilio Micheluzzi o Hugo Pratt e magari il Milton Caniff maturo di Steve Canyon.
Anche ne Il bosco il punto di partenza è dato dal territorio della bassa mantovana, che Sanna ama e che con passione ed entusiasmo va esplorando e scoprendo (è nato nel 1975 a Nogara nel veronese ed ora vive e lavora ad Ostiglia, nome legato indissolubilmente all’avventura di Arnoldo Mondadori). Qui tutto nasce dai fitti pioppeti che gelosamente sembrano trattenere oscurità e luci, suoni e odori e quindi vicende ora remote ora recenti che, insieme alla nebbia, forse restano impigliate fra i rami e le fronde. Sessanta tavole senza testo alcuno dove Sanna diventa eccelso nell’arte del togliere. Un segno nervoso e fluente di assoluta, smagliante eleganza. Non ci sono le parole ma c’è una musicalità fortissima, c’è un ritmo ora piano ora convulso, una danza. Con le figure umane che sembrano scaturire dagli stessi tronchi e che via via prendono sempre più campo, nella sorprendente ricchezza e nell’alternarsi dei punti di vista e dei piani compositivi. Un racconto arcaico, un mito fondante, un perdersi e ritrovarsi in un mondo che non conosce, volutamente, coordinate spazio o temporali. E dove gli stessi pioppi pian piano possono diventare altro, volgendo verso un calibrato e straniante “esotismo”. E quel che ancor più avvince e convince è il dare, in ultima istanza, la parola al lettore. A lui il compito di leggere e interpretare come meglio vorrà la narrazione. Che è anche una gran bella lezione attorno al senso più vero dell’illustrare.
E allora mi sia concesso di dire alcune cose su di un’altra opera meno nota, ma di squisita fattura: Don Chisciotte e la risoluta volontà del sogno, edito da Tre Lune con un bell’intervento di Antonio Moresco, l’autore delle Favole della Maria, Premio Andersen 2008. Vivido omaggio, attraverso emozionanti figure, al gioco costante fra realtà e illusione e alla bontà dei libri.
A tal proposito non posso non concludere con la copertina per questo numero. Così come aveva fatto Mauro Evangelista nel 2008, sulla spiaggia di Sestri (resa con pochi tocchi vibranti) c’è uno snodato, ineffabile, azzimato, allampanatissimo Hans Christian Andersen. Con le lunghe dita, sta plasmando un castello di sabbia che ha la forma del nostro logo. Ma a me piace interpretarlo anche come una fiamma che scalda e rasserena.