[da ANDERSEN 174 – ottobre 2001. L’intervista originale, più estesa e a cura di Olaya Argüeso Pérez, è stata pubblicata sul n.128 di CLIJ, rivista spagnola di letteratura per l’infanzia che ringraziamo per la gentile concessione. L’adattamento italiano è stato curato da Anselmo Roveda in collaborazione con Irene Castello.]
Manolito ha acquisito personalità propria e sembra aver soppiantato quella di Elvira Lindo, come quei pupazzi che usurpano la personalità del ventriloquo che li anima. Teme che questa popolarità la possa condannare a legarsi a lui per sempre?
No. Tutto è stato un po’ casuale. E che abbia acquistato tanta popolarità non è dipeso da me. Il personaggio è molto popolare e c’è una parte di lui che non controllo, nello stesso modo nel quale suppongo Hergè non controllasse la popolarità di Tintin. Ma ho bisogno di fare anche altre cose. Non mi sento obbligata a continuare col personaggio, né nessuno mi obbliga a farlo. Penso che la mia personalità sia troppo complessa per dedicarmi soltanto a Manolito. La maggior parte dei lettori conosce, di me, soprattutto Manolito, e io non posso oppormi a questo stato di fatto. In ambiti più ristretti il mio lavoro è valorizzato anche per altri aspetti: scrivo, ad esempio, su un quotidiano e per il cinema.
Il giorno che rinunciasse a continuare con Manolito non lo considererebbe come un salto nel vuoto?
No. Credo che forse l’editore lo sentirà più di me. Tutto questo è come un dono, però la mia vita è fatta di più cose. Questa è una tappa. Che venga posta l’etichetta “400.000 copie vendute” sincerameme per me è lo stesso e se posso evitare che la mettano, lo evito. Ciò che è realmente desiderabile è che le cose durino nel tempo. È meraviglioso vendere libri, non ho nulla in contrario, ma se mi dicessero che i miei libri continueranno a vendere poco a poco, per cinquanta anni, ci metterei la firma.
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Come nasce Manolito?
All’inzio nasce dal desiderio di divertirmi nel mio lavoro radiofonico. Il personaggio si nutre della mia infanzia, dei ricordi di altri e, soprattutto, del mio modo di essere, un poco infantile, in fondo buona, ma anche nevrotica e ossessiva. I personaggi comici sono così, nascono da chi li fa e hanno interiorità complesse, sempre a pensare che posto occupano nel mondo.
Da dove nascono i piccoli dettagli quolidiani dei quali parla il duo personaggio, dettagli che si apprendono soltanto nelle strade dei quartieri popolari?
Ho vissuto in molti posti prima d’arrivare a Madrid. La mia famiglia è un misto di gente di città e di campagna, e questo miscuglio di carattere rurale e urbano appare in Manolito. E anche se mio padrenon era esattamente di classe operaia abbiamo vissuto in un quartiere operaio. Credo di avere ritratto più la famiglia dei miei amici d’infanzia che la mia, ma conosco molto bene i quanieri di periferia perchè vi ho vissuto. So cosa vuol dire giocare negli spiazzi dei cantieri o in giardinetti che non sono tali.
Il linguaggio della serie di Manolito è molto colloquiale, quello che usa qualsiasi bambino, non è un impoverimento? Non si suppone che la letteratura debba usare un linguaggio ricco e contribuire alla formazione del lettore?
L’idea di contribuire alla formazione del lettore mi pare povera in se stessa. Manolito sembra imitare il linguaggio dei bambini, ma non parla esattamente come un bambino di strada, utilizza un linguaggio creato da me. Altra cosa è se ora i lettori lo imitano. D’altro canto se pensassimo che il linguaggio della strada impoverisce i libri il Dizionario della Real Accademia Spagnola non incorporerebbe nuove parole. La lingua non la cambiano le persone con un linguaggio colto, ma chiunque di noi, giorno per giorno. C’è una tendenza nella letteralura per ragazzi ad utilizzare un linguaggio più curato. Anch’io curo il linguaggio dei miei libri, però li scrivo in libertà.
Elvira Lindo spiega allora che se ci si fermasse al linguaggio colto la letteratura sarebbe morta. Parte da lontano, da Lazarillo de Tormes, un romanzo picaresco del 1554 nel quale si racconta la vita di strada. Ma arriva all’oggi. Nell’ambito della letteratura per ragazzi ci sarebbe da scuotere un po’ certi autori, dice la Lindo, e fargli vedere che stanno al mondo, cbe possono trattarla alla stessa stregua della letteratura per adulti. L’intervistatrice allora incalza.
Esiste una divisione tra letteratura per adulti e quella per ragazzi?
In molti casi deve esistere perché ci sono bambini molto piccoli che non capirebbero i libri destinati ai più grandi. Ma in altri casi si forza la macchina. Credo che, per esempio, i miei libri alzino il livello del senso dell’umorismo, che siano “stuzzicanti”. In alcuni luoghi si prova a pubblicarli per gli adulti. La letteratura per ragazzi, come altre cose, sta forzando un’infanzia che non finisce mai. A 10 o 12 anni bisogna offrire qualcosa di più che titoli puramente onomatopeici. Ma questa è la mia opinione e mi posso sbagliare.
Le vicende che vive Manolito non sono nulla di trascendentale, sono anzi di una normalità quasi scontata. Da dove viene il segreto del loro successo, allora?
Non lo so. Neppure so che cosa sia la scontatezza. La letteratura adulta è piena di cose normali, di relazioni tra le persone. Quello che forse sorprende di Manolito è che mette alla prova la pazienza del lettore. Credo che il segreto sia capire perché i bambini abbiano tanta pazienza con i miei libri. Per l’umorismo, forse.
C’è chi sostiene che molte delle sue trovate umoristiche siano apprezzabili soltanto dagli adulti.
È vero, ma cosa posso farci? Aspettare che i lettori crescano e lo apprezzino.
Ma è destinato ad un pubblico infantile.
No! È stato pubblicato in una collana per ragazzi, ma è rivolto a tutti quelli che lo leggono.
Nel prosequio dell’intervista la Lindo risponde a domande su Olivia, un suo personaggio in Italia ancora inedito, poi parla nuovamente del suo rapporto con la letteratura dicendo che se è valida per davvero deve essere senza specificazione di genere e senza limiti d’età e quando allora l’intervistatrice chiede se si sente una intrusa nel mondo letterario per ragazzi l’autrice risponde decisa:
Se intendiamo che per scrivere letteratura per ragazzi ci si debba dedicare dedicare solo a questa, allora sì, perché ho scritto e scrivo altre cose.
Poi racconta del suo rapporto con il cinema, con la radio, con il marito -il famoso scrittore, per adulti, Antonio Muñoz Molina- e con il successo. E quando le viene chiesto se il successo schiavizza la Lindo candidamente risponde:
No, non schiavizza il successo, lo fa la famiglia. AI contrario il successo dona denaro e ali. Mi permette di andare un mese a New York a far nulla.
L’intervista volge ormai al termine e torna l’ombra del Quattrocchi, cosa direbbe Manolito di lei?
Che mi approffitlo di lui per vivere stupendamente e non divido con lui le cose vere della vita. Direbbe che gli sembro un po’ approfittatrice, e in fondo ha ragione.