[da Andersen 213, aprile 2005] – Un affascinante viaggio tra tante rappresentazioni della ciliegia come simbolo di seduzione.
Quest’estate, viaggiando per la Francia, era normale vedere una grande affiche della Granini, una ditta di succhi di frutta, che pubblicizzava una nuova bibita: Granini Cerise, seguito il tutto da un Buvez avec vos 5 sens. Il commento era affidato ad una immagine fotografica a colori dove un profilo indefinito, quasi sicuramente femminile, si tende con la bocca verso due tonde e invitanti ciliegie (appena toccate da alcune gocce d’acqua) che pendono da un orecchio, questo sì sicuramente femminile, anche per la veduta parziale del volto, dei capelli e del lungo collo. Fin qui nulla di nuovo: un simile manifesto, pur non privo di una sua eleganza, potrebbe inserirsi a buon diritto nella discutibilissima utilizzazione di amori lesbici a fini pubblicitari. Sempre la Granini (“d’après le nom italien désignant les petits grains de fruits contenus dans le jus”) ha nel suo sito altre due composizioni (kiwi e lamponi) ben più esplicite e di sicuro cattivo gusto.
Il fatto è che una tale immagine, vista più e più volte, ha messo in circolo altre “figure”, creato collegamenti, riscoperto nessi in cui mi ero già imbattuto. Si può affermare che le figure sono come le ciliegie. Infatti: una ciliegia tira l’altra, celeberrima frase fatta che già allude alla tentazione o che, più prosaicamente, come indica lo Zanichelli, ci parla “di cose simili che si ripetono più volte”. E qui, volendo fare un breve passaggio nei territori della letteratura per l’infanzia, subito ci soccorre una delle poesie più belle di un Piumini giovane. Tanto che queste rime diedero il nome alla raccolta che uscì per Nuove Edizioni Romane nel 1980:
Io mi ricordo
Io mi ricordo/ la prima ciliegia/ rotonda/ e un’altra ne tirò/ rotonda e rossa/ e un’altra ne tirò/ rotonda rossa e dolce/ e un’altra ne tirò/ rotonda, rossa/ dolce e saporita/ e un’altra ne tirò/ rotonda, rossa/ dolce, saporita/ con un nocciolo duro/ e un’altra ne tirò/ e un’altra/ e un’altra…/ I miei ricordi sono/ una collana rossa/ lunga/ lunga/ che non finisce/ mai.
Andando a scartabellare su qualche dizionario dei simboli, si vede subito che le cose, come sempre, si presentano più articolate e sfumate. Il color rosso della ciliegia rimanda al sangue versato da Gesù Cristo sulla croce. Per questo motivo spesso è possibile trovare alcuni di questi frutti disposti sulla tavola dell’Ultima Cena o di quella in Emmaus. Con lo stesso significato le si rintraccia anche in dipinti rappresentanti la Madonna con il Bambino. La ciliegia in Giappone è simbolo della vocazione guerriera del Samurai e del destino a cui deve prepararsi: “rompere la polpa rossa della ciliegia per raggiungerne il duro nocciolo o, in altri termini, fare il sacrificio del sangue e della carne per arrivare alla pietra angolare della persona umana” (come scrive Jacques Servier in L’uomo e l’invisibile, Rusconi 1973). Il fodero della spada era ornato con ciliegie e l’ emblema del Samurai era un fiore di ciliegio, rivolto verso il sole nascente, quale segno di devozione delle loro vite. Seduzione e sacrificio femminile della verginità paiono quindi intrecciarsi, senza dimenticare il tema della donna-vampiro. Ecco quel che scrive Bram Dijkstra nel suo affascinante saggio (Idoli di perversità, Garzanti, 1988) dedicato a La donna nell’immaginario artistico filosofico letterario e scientifico tra Otto e Novecento: “Gl’intellettuali della fine del secolo consideravano scientificamente
provato che, per la donna, gustare sangue significava risvegliare il suo desiderio, e che questo poteva trasformare un’innocente e ingenua creatura in un’insaziabile ninfomane”. In un’altra pagina sempre Dijkstra cita Horace Bushnell che nel 1869 affermava: “Le donne sono per natura molto più violente degli uomini; la loro stesa fragilità le rende tali” e aggiunge: “Sicuramente, ninfe, sirene e menadi, che proliferavano nelle arti visive del tardo diciannovesimo secolo, esprimevano la violenta miscela di desideri inappagati, paure, orrori e repulsioni che si affollavano nella mente del maschio”. Inutile aggiungere che tanta produzione visiva di questi ultimi anni sembra aggiornare e riportare in auge questi logori pregiudizi e queste antiche ossessioni.
Sul numero 201 di Andersen denunciando un clamoroso e fastidioso caso di plagio (Ispirazione o plagio? Ovvero uno scivolone dello Scarpetta) mi riferivo a quanto scriveva Paola Pallottino a proposito del “riuso delle immagini”, a quel continuo intrecciarsi fra “invenzione” e “permanenza”. Ed ecco che, ai primi del Novecento, accanto ad un profluvio di rose (cascate, festoni, tralci, siepi, spalliere, canestri di rose) anche la ciliegia si ritaglia un suo posto che, come s’è visto, giunge poi fino ai giorni nostri. Limitando la mia indagine alle cartoline illustrate, inizio con una deliziosa immagine siglata F.G. dove una bionda fanciulla dalla tunica svolazzante è chiamata a rappresentare il mezzogiorno in una serie dedicata ai momenti della giornata. Sulla mano destra regge in precario equilibrio un piatto colmo di ciliegie, mentre volge allo spettatore uno sguardo allusivo. Lo fa con la stessa grazia caparbia, con la medesima noncuranza delle sante che esibivano il frutto del loro martirio: dagli occhi di Lucia ai seni di Agata.
Ma le coincidenze più intriganti nascono da tre cartes postales apparse grosso modo negli stessi anni: in tutte la protagonista esibisce una coppia di ciliegie che pende, ben stretta, fra le labbra. Impossibile chiedersi a chi spetta la primazia e poi ve ne saranno di sicuro delle altre. Una fanciulla dall’aria severa ma dallo sguardo intenso e mobile, bellissima nella gran massa di morbidi capelli che le incorniciano il volto roseo, nel contrasto con il candore della camicetta. Cherry ripe dice la didascalia: ciliegia matura, come la bellezza della protagonista. E qui siamo nei territori, anche se la firma non è leggibile, dei tipi femminili veicolati negli Stati Uniti da illustratori quali Harrison Fisher, Philip Boileau, Howard Chandler Christy, C.F. Underwood ed altri. Più scanzonata all’apparenza una versione tedesca dove il frutto viene associato all’idea del gustoso, del saporito (Süsse Kirschen). Per concludere con un’edizione italiana (l’autore è G. Crotta) per la quale si rinuncia ad ogni tipo di testo e ci si affida ad un’immagine più casalinga (la sproposita e pesante coda di capelli dai riflessi ramati, la mancanza di ogni fiocco o cravatta, giudicata forse troppo mascolina, lo sguardo un po’ opaco che quasi sembra voler rimandare alla celeberrima Gioconda leonardesca). Fino a giungere, con un bel salto avanti nel tempo, ad una copertina per un 45 giri del 1965 dove Audrey (chi era costei?) questa volta le ciliegie (false all’apparenza) se le sta portando alla bocca.
Concludo questa sommaria rassegna passando ai territori delle scatole di latta litografata, riprendendo alcune osservazioni svolte pochi anni or sono per una mostra genovese. Muovo dalla magnifica confezione per i Cioccolatini Dessert della Beata e Perrone di Torino, realizzata a Sampierdarena dalla S.A. L’Americana. Sul coperchio compare una dolce testina di bimba. Dalle prove di stampa ritrovate in un piccolo frammento dell’archivio della ditta Ligure Latta si è rintracciato un volto assai simile a questo, salvo alcune, significative varianti, indici di un intervento successivo, forse per ottemperare ai desideri del committente. E’ mutato il paesaggio sullo sfondo, sono state apportati alcuni trascurabili ritocchi alle vesti, ma, in particolare, le ciliegie del disegno originale (di un certo Th. Recknnyl) sono state sostituite da più parche e giustificate mimose. Forse preoccupò la simbologia legata a questo frutto, irresistibile strumento di lusinga.
Ed è giusto il caso di un’altra scatola sempre prodotta da L’Americana, per i biscotti WAMAR della torinese Marchisio. La fanciulla (verrebbe in mente l’abile mano di Giuseppe Palanti) indossa un largo cappello, ha il volto ridente gettato all’indietro con un lungo festone di ciliegie mentre altre occhieggiano sullo sfondo. Sempre nell’archivio sopraccitato vi è una bella tempera di G. Guerzoni, prolifico e vivace autore di cartoline che talvolta riprende gli stilemi del celebrato ed oggi quasi dimenticato Sir Lawrence Alma-Tadema. Qui le fanciulle, ridenti, sono tre. Quella sulla sinistra ha la consueta coppia di ciliegia strette fra le labbra, per la figura centrale le ciliegie pendono invece da un orecchio. La terza sulla destra non ha nulla. Forse, giusto per chiudere il cerchio, si appresta a morsicare ciliegie (e lobo). Buvez avec vos 5 sens…