Una libreria indipendente francese e due giovani artisti italiani all’ombra della Tour Eiffel.
Sono quattro le librerie indipendenti per ragazzi di Parigi, ma scelgo di andare a visitarne soltanto una. Prima di tutto per il nome, Le chat pitre, che tradotto letteralmente è “Il gatto buffone”, ma anche “Il capitolo”, a seconda che lo si stia leggendo sull’insegna colorata che spicca tra i palazzi anonimi accanto alla libreria, o che ci si affidi alla pronuncia, identica a quella di chapitre. Un gioco di parole voluto dalla proprietaria, che cercava un nome elegante e giocoso al tempo stesso. Ed è lei, Laurence Tutello, la seconda (o forse la prima) ragione che mi ha portato qui, in un quartiere parigino lontano dalle infinite rotte turistiche della città.
Libraia per ragazzi da quasi vent’anni, Laurence è infatti la presidente dell’Association des Librairies Spécialisées Jeunesse, l’associazione che riunisce tutte le librerie indipendenti per ragazzi della Francia e del Belgio, ed è direttrice del quadrimestrale Citrouille, rivista dell’associazione. «Prima di aprire Le chat pitre nel 1994 lavoravo in una libreria generalista» racconta Laurence, «ma sono convinta che non ci si possa improvvisare libraio per ragazzi: bisogna conoscere lo sviluppo dei bambini, e come si avvicinano alla lettura.» Non è dunque un caso che all’ingresso della libreria sia esposto in bella vista l’acquario dei ciucci: un contenitore dove i bambini, quando si sentono abbastanza grandi, possono lasciare il proprio rassicurante compagno d’infanzia. «A spingermi c’è sempre stata la convinzione che attraverso i libri si contribuisca a crescere ragazzi capaci di pensare in modo libero» aggiunge Laurence. «Una storia di fantascienza, con eroi che si mettono in discussione ed entrano in conflitto con i mondi attorno a loro, educa all’autonomia di pensiero più di mille discorsi.»
Essere un libraio per ragazzi è un lavoro serio, che ha un peso importante nei percorsi educativi dell’infanzia, e che in Francia è riconosciuto anche dalle istituzioni. L’intervista con Laurence viene interrotta da un genitore che si affaccia dalla porta, e chiede al volo una copia del Manuale delle giovani marmotte. È un cliente fisso, come molti genitori della zona. Ma in libreria arrivano anche giornalisti, insegnanti o animatori in cerca di consigli e punti di vista. «Il lavoro del libraio non si ferma alla vendita del libro, ed è importante che questo ruolo non vada perso, sostituito dalla vetrina di una libreria online» spiega Laurence Tutello, che ha di recente avviato una campagna di informazione su Amazon. «Molti librai dell’associazione appartengono anche al Comitato nazionale del libro, un gruppo di esperti ai quali il Ministero della Cultura affida il compito di assegnare le sovvenzioni per la pubblicazione di libri, sia ad autori che editori. Non ci accontentiamo, insomma, di vendere libri ma cerchiamo di essere presenti nelle istituzioni con funzioni culturali più ampie.»
Ai suoi lettori consiglia Sendak, Ungerer e Ponti, e a un bambino italiano in visita alla città Eloise a Parigi di Key Thompson o Un leone a Parigi di Beatrice Alemagna, illustratrice italiana che ha iniziato la sua carriera proprio in Francia, e tutt’oggi vive nella capitale. Lo racconta lei stessa in un video trasmesso durante la sua recente mostra a Lucca, in occasione del festival del fumetto: «Ero arrivata a Parigi con l’idea di restarvi poche settimane, ma ormai sono passati anni.» La cultura come lavoro, in Francia e soprattutto qui nella capitale, pare ancora possibile. O perlomeno più facile che in Italia.
Lo dimostra anche la storia di Michela Passini e Francesco Peri, una coppia italiana che ormai da diversi anni ha scelto di vivere a Parigi. Lei si occupa di storia dell’arte al CNRS (che l’ha assunta a tempo indeterminato) e lui è affiliato al dipartimento di Germanistica di Paris III Sorbonne Nouvelle, traduce (conosce oltre dieci lingue) e scrive: nel 2007 ha vinto il Premio Italo Calvino e lo scorso anno è stato messo in scena un suo libretto per un’opera lirica per bambini. Con loro percorro le vie dei ristoranti giapponesi, e davanti a un ottimo sushi, parliamo ancora della città: «Non c’è niente di regalato qui, anzi, ma almeno non si ha l’impressione di agitarsi nel vuoto» racconta Francesco. «Questo vale sia per la ricerca che per la letteratura e la cultura in genere: nel bene o nel male, ci si muove in un contesto di senso che dà una prospettiva e sostiene il lavoro individuale.»
Una sensazione chiara anche a Isadora Bucciarelli, illustratrice (a tre dimensioni), che quattro anni fa si è licenziata dalla Scala di Milano e ha scelto di trasferirsi oltralpe. «Ho sempre avuto un chiodo fisso per Parigi» racconta mentre facciamo colazione in un locale di Montmartre. «Qui ci sono tante opportunità, basta aver voglia di camminare.» Ed è questo il suo consiglio per visitare Parigi: camminare e vagare senza metà. E una volta acquisito un bagaglio visivo degno del miglior flâneur, tuffarsi in un libro di Sempé o Goscinny e ricominciare a perdersi nella loro Parigi a china.
[da Andersen 308 – dicembre 2013. Scopri il resto del numero qui]